La calciatrice del Papa, laureata in teologia che sta in porta a parare i gol

La calciatrice del Papa, laureata in teologia che sta in porta a parare i gol
di Ugo Baldi
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Lunedì 20 Maggio 2019, 18:11
Eugénie Tcheugoue è una calciatrice atipica. Non solo perché gioca sia da portiere che da centravanti; o perché nel suo Paese, il Camerun, si è laureata in teologia, e qui in Italia di laurea ne ha presa un’altra in esegesi biblica. La Tcheugoue è una calciatrice particolare perché è la prima capitana di una squadra femminile di calcio della Città del Vaticano, che domenica prossima farà il suo debutto ufficiale, affrontando l’As Roma femminile. 
Eugénie, com’è nata l’idea di una squadra femminile in Vaticano? 
«La nostra rappresentativa è nata come una squadra amatoriale, che ci consente di ritagliarci un po’ di tempo, ogni settimana. Mettendoci tanto impegno e entusiasmo, ci prendiamo cura di noi stesse, non soltanto dal punto di vista fisico, ma anche mentale, alleviando lo stress quotidiano». 
Siete mamme, colleghe, figlie. Insomma, più che compagne di squadra.
«Sì, il ritrovo su un campetto da calcio è diventato per noi l’occasione di una nuova socialità, un modo per coltivare gli affetti e le amicizie incontrandoci di persona senza delegare questo compito ai social media».
La notizia della nascita di una rappresentativa vaticana di calcio femminile è rimbalzata sui giornali di mezzo mondo...
«Sulle prime, l’idea sarà sembrata balzana ai più, abituati a declinare il Vaticano solo al maschile e in modo clericale. Eppure, questa prima esperienza di calcio femminile all’interno delle mura vaticane è da considerarsi a tutti gli effetti un segno dei tempi, il termometro di una nuova stagione che in questi anni ha visto la Santa Sede compiere importanti passi avanti nella valorizzazione del ruolo e della missione della donna nella Chiesa e nella società». 
Un percorso che ha conosciuto un’accelerazione con Papa Francesco.
«Una maggior e miglior presenza della donna nella Chiesa si è tradotta in alcune nomine eccellenti di donne in ruoli apicali fin qui appanaggio esclusivo di chierici e di uomin». 
Questa crescita sta avvenendo anche nello sport e nel calcio. 
«Crediamo che lo sport sia la metafora e una scuola di vita, e in virtù del fatto che molte di noi sono mamme, avvertiamo un’impellente responsabilità educativa verso generazioni per cui spesse volte il massimo divertimento sta tutto dentro ad uno smartphone. Ai nostri figli, vogliamo invece insegnare com’è bello sudare all’aria aperta e come siaè impegnativo ma anche fantastico incontrarsi a quattro occhi e fare le cose insieme». 
La squadra da chi è composta?
«Nel suo piccolo, la nostra squadra è un esperimento riuscito di integrazione e di convivenza nonostante le nostre fisiologiche differenze. Abbiamo età molto diverse, facciamo lavori complemente diversi e proveniamo spesso da paesi e continenti diversi: eppure quando scendiamo in campo, parliamo la stessa lingua e guardiamo tutte nella stessa direzione, quella di un modello di sport inclusivo».
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