Marcello Simoni: «Ho scritto un Nome della rosa al femminile, le donne sono protagoniste della Storia»

Esce il giallo storico "Morte nel chiostro"

Marcello Simoni: «Ho scritto un Nome della rosa al femminile, le donne sono protagoniste della Storia»
di Riccardo De Palo
4 Minuti di Lettura
Lunedì 29 Gennaio 2024, 16:48

Il mago del thriller storico, Marcello Simoni, torna con un giallo ambientato nel Dodicesimo secolo, Morte nel chiostro (da domani in libreria per La nave di Teseo) che è un po’ una versione al femminile del Nome della Rosa. Un romanzo commissionato direttamente dall’editore, Elisabetta Sgarbi: «Lei è molto legata al mio territorio. Io sono di Comacchio, un luogo suggestivo per scrivere. Ha delle atmosfere che ti aiutano a evocare il passato».


Lei ha già ambientato libri in questi luoghi. Cosa cambia stavolta?
«È un Ferrarese alla Ivanhoe, alla Walter Scott. Siamo nel dodicesimo secolo, ci sono le selve, i monasteri isolati, un po’ come nella prima saga di Kingsbridge di Ken Follett».


Il romanzo si svolge al tempo di papa Urbano III, grande oppositore dell’imperatore Federico Barbarossa. Lei adombra il sospetto di un avvelenamento come causa della sua morte. Una ipotesi plausibile?
«Il pontefice si stava spostando da Verona a Ferrara. Era in contrasto con Federico Barbarossa e si spostava di continuo, circondato dai suoi fedelissimi. La leggenda narra che sia morto di crepacuore, dopo avere appreso che Gerusalemme era caduta nelle mani dei saraceni. Ma all’epoca le notizie non viaggiavano così velocemente. Un intrigo è plausibile».


Cosa possiamo raccontare del romanzo, senza fare spoiler? 
«Si apre come un giallo alla Agatha Christie. Al battere dei rintocchi del mattutino, la badessa, che si era addormentata sullo scrittoio mentre lavorava al suo trattato sulle erbe velenose, si sveglia e non capisce se è stata risvegliata dalla campana o da un grido risuonato nel chiostro. Si affaccia, vede una figura vestita di nero che si allontana, e scappa via. Più tardi viene ritrovato il corpo di una consorella impiccata. E parte un’indagine che si collega alla morte di papa Urbano III, che proprio in quei giorni viene tumulato e venerato presso la cattedrale della vicina Ferrara».


Quanto è stato di ispirazione Umberto Eco?
«Tantissimo. E non solo per me, ma per due generazioni di scrittori. Penso al Nome della rosa, ma anche a Baudolino, al Pendolo di Foucault. E poi i suoi saggi, la semiotica. Mi ha insegnato che il movente di un delitto può non essere soltanto una causa materiale, come l’ambizione o la ricchezza, ma anche un concetto intellettuale: una filosofia, una teologia, un movimento eretico. E poi condivido con Eco molte passioni, come quella per il labirinto».

Cosa aggiunge di nuovo questo romanzo rispetto ai suoi precedenti lavori?
«È il primo in cui inserisco delle protagoniste femminili».


La novizia Beatrice e la badessa Engilberta. Chi sono?
«Due figure antitetiche.

Potremmo anche vedere in loro una sorta di reincarnazione di Sherlock Holmes e del dottor Watson. Engilberta è più anziana, più acuta, più cerebrale. E dall’altra parte abbiamo una vedova che conosce la vita al di fuori del claustro, che è dotata di grande coraggio. Beatrice diventa in più di un’occasione il braccio della sua badessa. Insomma, due figure tipiche del mondo monastico, che ci vengono descritte nelle fonti storiche. Ho voluto far vedere come vivevano e come combattevano contro il mondo degli uomini».


Il potere maschile è incarnato invece da padre Vespertilio. Ma anche dal cavaliere Guido degli Ademari, no?
«Sembra che il vero antagonista, più che l’assassino, siano questi personaggi estranei al monastero, che vogliono imporre le loro decisioni. Contro di loro c’è una forte opposizione, che viene messa in campo soprattutto da Engilberta. Donne di grande peso nella storia, come Ildegarda di Bingen, dovettero agire in modo analogo per amministrare i propri monasteri».


Un personaggio che lei cita spesso. Perché?
«È una figura emblematica del Medioevo. Non è solo una figura geniale come Leonardo da Vinci, ma anche la dimostrazione di quanto le donne abbiano contribuito a costruire la Storia, a differenza di quanto si racconti nei libri e nei film. Ildegarda non aveva niente da invidiare a un grande teologo come Tommaso d’Aquino. Ma pensiamo anche a Bianca di Castiglia, che è stata regina di Francia: rimasta vedova, ha dovuto lottare contro i baroni che non la volevano sul trono di Parigi».


La Storia va riscritta?
«Ci sono studiose come Chiara Frugoni che hanno voluto dare enfasi a queste figure, e spero che se ne parli sempre di più. Alcuni vorrebbero scrivere una “storia al femminile”, ma secondo me è sbagliato. Dovremmo semmai raccontare come uomini e donne hanno contribuito, insieme, a costruire il mondo. La letteratura cavalleresca in cui la dama viene esaltata, per esempio, è molto importante, perché si sovrappone alla misoginia che appartiene allo stesso periodo. Come diceva Jacques Le Goff, non esiste un solo Medioevo, bensì tantissimi».

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