«Così vivemmo le ore della strage di Monaco '72», il racconto di Serafino Carminati

«Così vivemmo le ore della strage di Monaco '72», il racconto di Serafino Carminati
di Giuseppe Baratta
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Domenica 6 Settembre 2020, 17:22
Spari, esplosioni, estenuanti trattative culminate in tragedia e con il volto di Issa, il terrorista con il passamontagna, che è diventata (purtroppo) un’icona dei Giochi Olimpici Estivi di Monaco, tra il 5 e il 6 settembre del 1972. 48 anni fa.

«In quel momento non capimmo molto, avevamo notato un po’ di trambusto quando la mattina eravamo usciti alle 6 per gli allenamenti, era l’alba ma poi quando siamo tornati al Villaggio Olimpico abbiamo compreso quello che era realmente successo». Serafino Carminati, che oggi ha 72 anni e vive nella sua Sabaudia, nel settembre di 48 anni fa alloggiava nella stessa palazzina in cui il commando palestinese trucidò gli atleti della nazionale israeliana dando vita al famoso Massacro di Monaco, che bagnò di sangue le Olimpiadi 1972.

«Facevo parte dell’Otto della nazionale italiana di canottaggio, con me c’erano anche Francesco Pigozzo e Giuliano Rossi, che poi sono stati a Sabaudia, oltre a Renzo Bulgarelli che poi andò nel nord dell’Italia per proseguire la sua carriera, avevamo tre camere e in quelle ore del sequestro tutti i nostri effetti personali erano rimasti nella palazzina, a pochi passi dalle stanze dei poveri ragazzi israeliani - ricorda Serafino, oggi nonno, che ha intrapreso anche una carriera nel mondo del cinema visto che è stato la controfigura di Anthony Hopkins nel film The Two Popes - a quei tempi non c’era internet e reperire informazioni era molto complicato ma nel villaggio la voce s’era sparsa, tuttavia ci hanno tenuti in disparte e chiesto di concentrarci sulla gara, anche perché la nostra imbarcazione non andava bene e non era facile preoccuparsi di altre cose. Qualcuno invece che aveva le idee più chiare si voleva rifiutare di gareggiare, eravamo angosciati e contrastati non fu un momento facile». Il presidente del Comitato Olimpico Internazionale dell’epoca, Avery Brundage, fu informato dell’accaduto ma decise che le Olimpiadi non si sarebbero dovute fermare pronunciando il famoso «The Games must go on!», che tradotto vuol dire che i Giochi devono andare avanti.

«La sera dell’irruzione dei terroristi poi ci hanno fatto ritornare nei nostri alloggi come se niente fosse, hanno cercato di minimizzare ma comunque dalla televisione avevamo visto qualcosa - ricorda l’ex vogatore azzurro - Paura? Non ne abbiamo avuta, eravamo giovani, eravamo sotto pressione per i risultati sportivi. Io potrei anche pensare che il commando sia passato anche davanti le nostre camere prima di arrivare dagli israeliani ma ormai sono passati tanti anni. Le sere prima era molto bella la vita nel villaggio olimpico, avevo incontrato anche Pietro Mennea e nel bar del Villaggio avevamo chiacchierato un po’, anche del fatto che si allenava a Formia mentre io ero a Sabaudia, più di qualche volta ero andato anche a vederlo allenarsi».

Mennea, che divenne campione olimpico dei 200 metri a Mosca 1980 e primatista mondiale della specialità dal 1979 al 1996 con il famoso tempo di 19”72, a Monaco 1972 centrò il bronzo nei 200 metri, una medaglia preparata tutta a Formia dove si allenava già dal 1968 nella zona di Vindicio. I Giochi Olimpici di Monaco erano i primi resi spettacolari dalle dirette televisive e da un nuovo villaggio olimpico per gli atleti, tutti concentrati in unico posto.

«C’erano tanti campioni ma anche tanti ragazzi disperati, alcuni avevano messo su un bazar dove rivendevano scarpe o prodotti sportivi, altri avevano rubato le radio della sala relax e cercavano di rivenderle, ricordo una bella avventura in quella Olimpiade ma anche tanti contrasti: la portata della tragedia degli israeliani l’abbiamo capita pienamente solo quando siamo atterrati a Roma».
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