E' un giallo la morte di Matteo Lombardi, arrestato per Alba Pontina. Overdose sospetta, indaga la Procura

Matteo Lombardi
di Marco Cusumano
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Sabato 15 Febbraio 2020, 13:04 - Ultimo aggiornamento: 27 Aprile, 20:01
E' una morte avvolta nel mistero quella di Matteo Lombardi, 33enne di Terracina trovato senza vita il 4 dicembre 2018 nella sede di una comunità di recupero a Feltre, in provincia di Belluno. L'ipotesi di overdose non ha mai convinto la famiglia di Lombardi e adesso la mamma chiede a gran voce che sia fatta chiarezza. Intervistata su Lazio Tv da Egidio Fia, la donna è stata categorica: «Mio figlio è stato assassinato, c'era qualcuno in quella comunità che stava aspettando Matteo, però è stato detto 12 giorni dopo la sua morte».

Il 33enne fu arrestato nell'ambito dell'operazione Alba Pontina ma subito dopo l'interrogatorio, avendo una posizione marginale, fu scarcerato con il solo obbligo di firma. Successivamente decise di andare in una comunità di recupero per tossicodipendenti, molto lontano da casa, in provincia di Belluno. In quella struttura ha dormito soltanto una notte, la mattina successiva è stato trovato morto nella sua stanza.
Il magistrato di turno dispose l'autopsia, affidando l'incarico al medico legale Antonello Cirnelli, e la famiglia nominò un consulente di parte, Alessandro Zambon. Dai successivi esami tossicologici emerse la causa del decesso: overdose di eroina assunta per via endovenosa.

Gli investigatori stanno lavorando da mesi per mettere in fila tutti gli elementi di questa complessa indagine. I dubbi sono numerosi: perché Lombardi decise di andare in quella comunità anche se non c'era una conclamata dipendenza da stupefacenti. Secondo la versione della madre, così come raccontata in Tv, furono utilizzati dei documenti falsi per entrare in quella struttura, una scelta di cui i familiari non erano a conoscenza. Forse l'uomo voleva allontanarsi da Terracina per qualche motivo preciso? Aveva paura di qualcuno? Era in possesso di informazioni compromettenti?

I quesiti sono numerosi e gli investigatori stanno ricomponendo un puzzle assai complesso. La madre di Lombardi è inoltre convinta che il figlio fosse cambiato radicalmente dopo aver partecipato alla campagna elettorale di Terracina, attaccando i manifesti. «Attaccando i manifesti ha conosciuto dei soggetti... Dopo non era più lui».

L'inchiesta sulla misteriosa morte del 33enne è ancora aperta. Chi conosceva Lombardi esclude l'ipotesi di una tossicodipendneza legata all'uso di eroina, il che potrebbe essere confermato da una serie di elementi emersi dopo l'autopsia. Di certo soffriva di disturbi cardiaci ed era obeso, ma le sue condizioni fisiche non sembrano collegate al decesso.

LE ACCUSE DEL PENTITO: SI OCCUPAVA DELLE CAMPAGNE ELETTORALI PER CONTO DEL CLAN.
Matteo Lombardi fu uno dei primi ad ottenere la scarcerazione dopo l’arresto nell’ambito dell’inchiesta “Alba Pontina” nel giugno 2018. Insieme a Gianluca D’Amico, secondo la ricostruzione degli investigatori, si occupava dell’affissione dei manifesti elettorali, una delle tante attività del clan Di Silvio attraverso la quale «sono riusciti a monopolizzare la propaganda di molti candidati imponendo i propri servizi, altre volte vendendo consensi degli elettori residenti nelle zone della città ricadenti sotto il loro controllo».

Queste le parole del pentito Renato Pugliese, durante uno degli interrogatori che hanno reso possibile lo sviluppo delle indagini sui rapporti tra clan e politica. Secondo Pugliese i manifesti elettorali venivano nascosti in una stalla non lontana dall’abitazione di Armando Di Silvio, nel quartiere Campo Boario e il lavoro di affissione era delegato proprio a Gianluca D’Amico e Matteo Lombardi. Pochi giorni dopo l’arresto il gip di Roma, Antonella Minunni, accolse la richiesta della difesa dei due scarcerandoli entrambi.

Successivamente la vicenda giudiziaria si complicò con l’annullamento dell’ordinanza di custodia cautelare da parte del Riesame. Si arrivò così a una nuova ordinanza, poi al processo di primo grado, a Roma, per alcuni degli imputati che sono stati condannati con il riconoscimento dell’aggravante delmetodo mafioso. Il giudice Marzano, nella sentenza, definisce il pentito Renato Pugliese «figlio d’arte, perché nato da Costantino Di Silvio, detto Cha-Cha, capo della famiglia sia quale capostipite che nella veste di capo del gruppo criminale; Agostino Riccardo avvezzo al crimine sin dalla giovane età e sempre allineato in dinamiche criminali insidiose, strutturate e solide».

Marco Cusumano
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