Strage treno Brandizzo, i colleghi delle vittime: «Era normale fare così». No dei parenti ai funerali di Stato

I dipendenti della Si.Gi.Fer: «Quando qualche convoglio era in ritardo ci portavamo avanti con le operazioni»

Strage treno Brandizzo, i colleghi di Kevin Laganà: «Era normale fare così». Il no dei parenti ai funerali di Stato
di Erica Di Blasi
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Mercoledì 6 Settembre 2023, 00:11 - Ultimo aggiornamento: 01:16

«Si andava prima sui binari per sbrigarsi. Spesso i tempi per i lavori erano troppo stretti e c’erano delle scadenze da rispettare». In procura a Ivrea i magistrati titolari dell’inchiesta sul disastro ferroviario di Brandizzo, costato la vita a cinque operai della Si.gi.fer (Kevin Laganà, Michael Zanera, Giuseppe Sorvillo, Giuseppe Saverio Lombardo, Giuseppe Aversa), stanno continuando gli interrogatori. I colleghi delle vittime vengono sentiti come “persone informate sui fatti”: non possono mentire (sarebbero indagati per falsa testimonianza), non possono avvalersi della facoltà di non rispondere. Ed è proprio dalle loro dichiarazioni che emerge un quadro allarmante. Lavorare sui binari con i treni in arrivo era la prassi. Un’abitudine che potrebbe ben presto allargare il numero di indagati. Gli inquirenti stanno vagliando anche la posizione di altre figure legate a Rfi. Non un fatto isolato, insomma. «Avevamo sempre poco tempo, abbiamo sempre dovuto correre. Ma il tempo non lo potevamo stabilire noi, dipende da Rfi e non possiamo fare altro che adeguarci alle finestre per le interruzioni dei treni», hanno raccontato alcuni della Si.gi.fer. Anche Antonio Veneziano, ex dipendente dell’azienda e collega del più giovane degli operai morti (Kevin Laganà) ha ribadito ai magistrati questo modus operandi: «È già capitato molte volte di iniziare i lavori in anticipo. In molte occasioni in cui ho lavorato lì (alla Si.gi.fer, ndr), quando sapevamo che un treno era in ritardo ci portavamo avanti con il lavoro».

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IL VIA LIBERA MAI ARRIVATO

Lunedì scorso è stata anche sentita la dirigente movimento di Chivasso che non ha mai concesso a Massa l’autorizzazione a iniziare il cantiere. «Per tre volte, in tre distinte telefonate gli ho detto di aspettare. Mi chiedeva quando poteva iniziare, ma non ho mai dato l’ok: dovevano passare due treni e uno in ritardo. L’ho fatto presente». La donna, 25 anni, originaria della Valsusa, è in servizio alla centrale operativa da circa due anni. Ha terminato un corso ad Alessandria ed è stata assegnata a Chivasso. Era al telefono quando il convoglio anomalo che trasportava carrozze vuote ha investito in pieno gli operai: «Ho sentito un botto, come una bomba o un petardo». La linea è caduta, lei ha richiamato subito. Dall’altra parte del telefono Massa «urlava che erano tutti morti».

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«GRAVI VIOLAZIONI»

Una prassi a dir poco pericolosa su cui ora la procura di Ivrea intende far luce. «Ci sono state gravi violazioni - ha ribadito la procuratrice capo Gabriella Viglione -. La tragedia poteva essere evitata. Ma avrebbe potuto avere conseguenze ancora più disastrose: gli operai stavano sostituendo i binari, pochi minuti dopo il treno avrebbe deragliato». In procura a Ivrea c’era anche Antonino Laganà, fratello di Kevin, nonché suo collega alla Si.gi.fer di Borgo Vercelli. La sua audizione è stata rinviata a oggi.

Dal Palazzo di giustizia è uscito mano nella mano con il papà, indossando una t-shirt su cui era stampato il volto del fratello.

LE ESEQUIE

I familiari delle vittime intanto hanno detto no ai funerali di Stato. «I nostri morti preferiamo seppellirceli da soli». Al momento una data per le esequie non c’è. La procura ha invitato le famiglie a fornire elementi che possano portare al riconoscimento dei corpi. Solo in seguito potrà essere concesso il nulla osta per i funerali. «Di tempistiche - ha spiegato l’avvocato Enrico Calabrese, legale dei parenti di Kevin Laganà - non ce ne sono. Ma è comprensibile: l’impatto con il treno ha avuto degli effetti che tutti possono immaginare. Anche l’estrazione del Dna è molto complicata». 

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