Sardegna, dieci anni dopo il ciclone Cleopatra: la "lezione" mancata della grande alluvione

Il 18 novembre 2013 una potentissima tempesta ha attraversato l'isola da sud a nord, causando 20 vittime tra cui due bambini. Ancora incompiuti i piani di riassetto idrogeologico delle zone devastate

Sardegna, dieci anni dopo il ciclone Cleopatra: la "lezione" mancata della grande alluvione
di Nicola Pinna
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Venerdì 17 Novembre 2023, 20:25 - Ultimo aggiornamento: 18 Novembre, 20:42

Chi soprannomina i cicloni, di Cleopatra, quel 18 novembre del 2013, deve aver ricordato soltanto la spietatezza dell’ultima regina d’Egitto. Di certo, non il fascino ammaliante decantato tra le pagine di storia. Perché quello che ha attraversato la Sardegna a metà dell'autunno di dieci anni fa è stato un terribile mostro. Una belva spinta dal vento forte e formata da nuvole cariche d’acqua che in poche ore hanno riversato sull’isola una tempesta mai vista prima. Da una costa all’altra, dal sud al nord, risparmiando solo pochissime zone. Le immagini della devastazione si sono già annebbiate col tempo e i nomi delle venti vittime solo in pochi le ricordano ancora. Tra loro gli anziani indifesi, quelli che non riescono mai a mettersi in salvo velocemente, due bambini molto piccoli, strappati in un attimo dalle braccia dei genitori, un allevatore trascinato via dalla piena sotto gli occhi del figlio e il cui corpo non è mai stato ritrovato. Un disastro che ha fatto tanto piangere, causato molti danni e insegnato poco. E ciò che resta, nella Sardegna dei progetti-lumaca, è soprattutto la paura, quella che si ripresenta a ogni allerta gialla-arancio-rossa, quando i fiumi si ingrossano e quando le dighe mai completate arrivano alla loro massima capienza. Non ha pagato nessuno, per la disastrosa organizzazione dell’allerta, per le case costruite dove prima c’erano i fiumi, per gli immigrati che vivevano negli scantinati senza agibilità, per i canali chiusi col cemento ed esplosi il giorno della tempesta e neanche per le strade che si sono sgretolate mentre ci passavano sopra le auto. Il peso, di quella tragedia che ha mostrato al mondo l’isola dalle acque azzurre ridotta a una gigantesca distesa di fango e macerie, se lo sono accollato interamente le famiglie. E le comunità che lentamente sono ripartite e dove il sole sembra che non splenda più con la stessa intensità di un tempo.

L'assalto del ciclone 

Quando Cleopatra ha sfondato le porte di casa dei sardi, era il primo pomeriggio. L’assalto è iniziato dall’Oristanese, nella zona sud della provincia: il solito mix che nel corso degli anni si è replicato in quasi tutte le zone d’Italia. Piove senza tregua, i fiumi si ingrossano, gli argini saltano, i canali esplodono, le strade diventano oceani e le case si trasformano in trappola. Dalla cucina, nella periferia di Uras, non riesce a mettersi in salvo una pensionata di 64 anni. Il marito lo portano fuori vivo i carabinieri ma dopo mesi passati in ospedale, piegato dall’ipotermia e dal dolore, muore anche lui. E qualcuno lo lascia fuori dall’elenco ufficiale. In poche ore, Cleopatra si sposta e le mappe dei meteorologi lo mostrano chiaro: l’avanzata semina paura, fango e morte.

Olbia devastata 

Il video operatore Luigi Folino è il primo ad arrivare nelle strade di Olbia, la città che ha pagato il tributo più caro. Racconta con la telecamera la gente caricata sui camioncini, porge il microfono a tutti gli sfollati e consegna alla storia il dramma di quei momenti. Chiama i colleghi e al telefono, mentre riecheggiano le grida dei soccorritori e lo strepitio delle sirene, urla e trattiene il pianto: «La città è un mare, sì, un mare. È irriconoscibile».

Per fare il giro delle case e salvare chi è rimasto bloccato, i giovani usano i canotti che ancora non sono stati riposti in cantina, dopo la solita estate infinita ma stroncata improvvisamente dal ciclone. I gesti eroici si moltiplicano e il bilancio della tragedia aumenta col passare delle ore. La città è irriconoscibile, i canali che passano a ridosso del centro hanno allagato tutto e abbattuto i ponti, tra i quartieri cresciuti abusivamente esplode molto del cemento condonato. Nel quartiere di Santa Maria c’è una scuola in cui la furia dell’acqua ha sventrato porte e finestre e i bambini per fortuna erano stati messi in salvo un attimo prima. I piccoli Enrico e Morgana, invece, non hanno avuto la stessa fortuna: avevano solo 3 e 2 anni e quando la piena ha sventrato la capitale della Costa Smeralda erano felici, insieme ai genitori, rientravano a casa dopo la scuola materna. Ma la potenza della corrente è stata molto più forte del loro abbraccio: Enrico è morto insieme al papà, Morgana aggrappata alla mamma, che era alla guida di una piccola auto trascinata via dal fiume.

I danni e la disperazione

La notte è un incubo che non finisce più e la luce dell’alba mette a nudo il disastro. Le immagini della videosorveglianza mostrano come Cleopatra si sia accanita in modo spietato sulla Gallura. E gli effetti si vedono: macerie ovunque, case irriconoscibili, strade apparentemente impossibili da recuperare, montagne di macerie. La solidarietà, quella delle pale sul campo e quella della vicinanza e delle donazioni, attenua leggermente il dolore, ma la Sardegna è una valle di lacrime. Sembra di vivere il giorno del giudizio e in tanti pensano di non riuscire più a ripartire. Il senso di sconfitta lo vivono soprattutto gli imprenditori, i tantissimi che si sono ritrovati le aziende inaccessibili, le scorte da buttar via, i prodotti invendibili e il futuro incerto. A Orosei, nella parte alta del Nuorese diventata famosa per il marmo e le belle spiagge, c’è il titolare di un cantiere che subisce un’alluvione per la terza volta e si convince di non avere la forza necessaria per ripartire. Si suicida, Pasqualino Contu, e anche lui è di certo una vittima della maledetta Cleopatra.

Le vittime

L’ingiustizia che porta un ciclone così veloce e così potente non è solo rappresentata dai sorrisi dei bambini uccisi dal fango, ma anche dallo sguardo fiero di un poliziotto che quel pomeriggio correva da una parte all’altra per portare aiuto. Con un collega scortava un’ambulanza lanciata a tutta velocità ma su un ponte vicino a Oliena, nel cuore della Barbagia, il fuoristrada della polizia è finito nel vuoto: Luca Tanzi non è riuscito a salvarsi e l’altro agente solo per miracolo ha riportato a casa la pelle. E di quella tragedia la colpa pare difficile da addossare solo a un’ondata di maltempo imprevista ma forse non imprevedibile. La responsabilità, invece, è di chi le strade non le ha mantenute in buone condizioni. E lo stesso vale per l’altra tragedia assurda del 18 novembre. Dalla Barbagia alla Gallura, dal ponte di Oloè a quello di Monte Pino, dove una voragine ha inghiottito e sommerso di massi le auto di passaggio. Tra i rottami sono morti in tre, Bruno Fiore, sua moglie Sebastiana Brundu e la suocera Maria Loriga, mentre un’altra ragazza, Veronica Gelsomino, si è ritrovata in gravi condizioni all’ospedale ma per fortuna viva. E la beffa di quella vicenda è che dopo 10 anni, passati tra inchieste e sequestri, finanziamenti difficili da trovare, appalti fatti e da rifare, la strada non è stata ancora ricostruita. I paesi della zona restano isolati e in questi giorni si canta persino vittoria perché finalmente sono state posate le prime campate.

La lezione mancata 

E se di scandali è necessario parlare, soprattutto ora che di anni ne sono passati 10, nell’elenco va inclusa la vicenda della diga Maccheronis, un gigante lasciato a metà nel territorio di Torpé, in provincia di Nuoro. Qui ogni inverno si ripete la solita scena: livello massimo raggiunto, paratie da aprire in fretta e furia e allagamenti assicurati. Proprio come accadde quel giorno, quando la valanga improvvisa devastò il piccolo paese (che pianse una vittima) e subito dopo quelli vicini, a iniziare da Bitti, il centro degli antichi canti a tenore, che si è ritrovato la zona storica sfondata da una furia d’acqua che è passata sotto alle piazze. Qui l’alluvione si è ripetuta nel 2020 e con un bilancio persino più grave e i piani per l’assetto idrogeologico continuano a procedere con una lentezza incompatibile con i cambiamenti climatici. E lo sanno bene i cittadini di Olbia, dove il famoso piano di “mitigazione del rischio” è finito al centro di una lunga contesa politica. Il risultato oggi è che i cittadini si sono quasi arresi e hanno smesso di protestare: il progetto è stato rifatto e si promette di realizzarlo. Per il momento sono state risistemate le strade e i ponti. L’apparenza, insomma. Le vasche capaci di frenare la furia delle piene sono rassicuranti per il futuro ma ancora sulla carta. E in Sardegna oggi si prega: per le vittime, per i parenti e per il futuro. Perché i cicloni stiano alla larga: l’isola ancora non è in grado di difendersi.

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