Jihadisti, tra lupi solitari e foreign fighter: monitorati centinaia di fedeli del Daesh. Dove si trovano e gli obiettivi sensibili

Jihadisti, tra lupi solitari e foreign fighter: monitorati centinaia di fedeli del Daesh. Dove si trovano e gli obiettivi sensibili
di Claudia Guasco
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Mercoledì 18 Ottobre 2023, 11:31 - Ultimo aggiornamento: 16:36

Nel nostro Paese sono oltre 28.000 gli obiettivi identificati come «sensibili», cioè a rischio terrorismo, soprattutto sedi diplomatiche o centri religiosi. Ma, come si è visto in Belgio e in Francia, le azioni avvengono nella maggio parte dei casi in luoghi e contro obiettivi poco prevedibili. Sabato scorso a Milano Ibrahim Tawfik, egiziano di 33 anni, con indosso una tunica e il Corano in mano ha aggredito alcuni passanti in viale Monza.

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Era stato arrestato per traffico di migranti nel 2017 nell’ambito di un’inchiesta della Procura di Catania, è uscito di prigione nel 2021 ed è arrivato a Milano per poi spostarsi in Germania e Francia. Alla fine è tornato nel capoluogo lombardo per «compiere - come lui stesso ha detto - il mio piano come soldato di Allah». A Torino un tunisino armato di coltello ha seminato il panico, nei pressi della sinagoga, inveendo in arabo e gridando Allah akbar, sempre a Milano ieri Alaa Refaei, 44 anni, e Gharib Nosair, 49 anni, sono stati arrestati per associazione terroristica all’Isis. Ciò che gli apparati di sicurezza osservano con il ritorno in primo piano della questione palestinese è la chiamata alle armi, una sorta di appello alla jihad globale che rappresenta una delle principali leve di propaganda delle centrali islamiste. Si diffondono così online immagini crude di uccisioni di «infedeli» con inviti ad attivarsi ovunque. E il rischio è che a queste chiamate rispondano emuli o cellule più strutturate rimaste dormienti per alcuni anni.

 

Radicalizzazione

Le nuove tensioni di Gaza hanno riattivato la scena jihadista, la maggior parte degli aspiranti combattenti fa propaganda e proseliti online, i soggetti radicalizzati sono in contatto tra loro attraverso il web.

Il numero complessivo di foreign fighters connessi con il nostro Paese è di 146 persone, di cui 61 deceduti e 35 rientrati, mentre nel 2022 sono stati rimpatriati 79 soggetti pericolosi, tra cui un marocchino espulso a cui è stata revocata la cittadinanza italiana. L’Italia, dove la seconda generazione di stranieri è aumentata, è ora demograficamente più simile agli altri Paesi europei, è l’analisi di Lorenzo Vidino, direttore del programma sull’estremismo alla George Washington University. Per il quale riguardo al jihadismo «esiste un fenomeno autoctono europeo». Uno studio realizzato nel 2018 dallo stesso Vidino con Francesco Marone per l’Ispi ha analizato la vita dei 125 foreign fighters partiti in Italia e finiti a ingrossare le fila della jihad in Siria, Libano e Iraq. La maggior parte di loro risiedeva in Lombardia ma, al contrario di quanto avviene in altri paesi europei, i foreign fighters legati all’Italia non provengono prevalentemente da metropoli o grandi centri urbani e la quasi totalità, oltre il 90%, sono maschi – le donne sono 12 – età media 30 anni, con un range variabile fra i 16 anni di una ragazza residente all’estero e i 52 anni di un marocchino. Solo 11 foreign fighters – l’8,8% del totale – sono effettivamente nati in Italia. Tutti gli altri sono nati all’estero, a differenza di quanto avviene in altri Paesi dell’Europa occidentale: 40 sono nati in Tunisia, 26 in Marocco, 14 in Siria, 6 in Iraq, 11 in Europa e altrettanti nell’area balcanica. Refaei e Nosair sono nati in Egitto ma avevano un permesso di soggiorno e un passaporto italiano, casa, lavoro e famiglia. Raccogliere dati serve a capire chi è il terrorista della porta accanto, il foreign fighters allevato e radicalizzato in Italia, partito da qui, finito a combattere in Siria, in Libia o Iraq e magari pronto a rientrare nei nostri confini. Aiuta a cogliere gli indicatori che possono anticipare le indagini antiterrorismo.

Bolle online

«Da molti mesi stiamo subendo una fortissima pressione migratoria attraverso il Mediterraneo centrale», ha detto il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi nell’informativa alla Camera. Con un aumento del flusso proveniente dalla Tunisia di circa il 376% rispetto all’anno scorso e 91.000 migranti sbarcati, ha sottolineato. «L’azione del governo - ha aggiunto il ministro - si è incentrata su ogni forma di contrasto all’immigrazione irregolare, anche in relazione ai possibili profili di rischio di infiltrazione terroristica nei flussi. I recenti tragici avvenimenti impongono una rinnovata e più elevata attenzione». Secondo Vidino, dopo aver subito una crisi per la sconfitta militare dell’Isis, il nuovo conflitto in Medio oriente ha riacceso la miccia dei fanatici della guerra santa, e «benché l’organizzazione jihadista sia in crisi, non è sparita e si avvale ormai di una propaganda decentrata e molto orizzontale. Non mi stupirei se chi ha compiuto l’attentato a Bruxelles non fosse mai entrato in contatto con organizzazioni jihadiste vere e proprie, perché più che cellule adesso prevalgono le bolle online, formate da veri e propri consumatori di propaganda».

Questo, avverte l’analista, non significa che i loro componenti siano potenzialmente meno pericolosi: «Basti pensare all’autore dell’attentato di Nizza nel 2016, dove morirono più di ottanta persone investite tra la folla con un autocarro. La vicenda dell’attentatore del giovane ceceno in un liceo francese è poi un esempio degli ultimi giorni. In casi molto più sporadici invece c’è un legame diretto, anche con contatti offline: in Germania ad esempio è stata recentemente smantellata una cellula che comunicava con l’Isis in Siria». E l’Italia? «Rispetto ai numeri di altri Paesi come la Francia, dove si contano trentamila soggetti radicalizzati, nel nostro Paese pur non essendo stati forniti numeri ufficiali si ipotizza qualche centinaio di soggetti, alcuni forse sconosciuti all’intelligence, ma sulle cifre bisogna essere cauti». Alcuni sono combattenti tornati dalle zone di conflitto come la Siria, dove l’Isis pure essendo stato sconfitto ha avuto una grossa influenza. Secondo la relazione al Parlamento del 2022 stilata dall’intelligence italiana, persistono «fattori di rischio, esogeni ed endogeni, legati all’estremismo sunnita» e segnali dal fronte siro-iracheno hanno confermato, seppure in maniera residuale, l’attivismo online o direttamente sul campo, di alcuni foreign fighters rimasti su posizioni irriducibili». E anche sul fronte della propaganda, è proseguita nei confronti dell’Italia la diffusione di messaggi e video minatori.

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