Palermo, restituiti i beni all’ex patron Valtur Carmelo Patti: «Non aveva legami con Messina Denaro»

Annullata la maxi confisca all'imprenditore morto nel 2016, il cui impero è finito ormai in macerie

Palermo, restituiti i beni all’ex patron Valtur Carmelo Patti: «Non aveva legami con Messina Denaro»
di Riccardo Lo Verso
3 Minuti di Lettura
Sabato 13 Aprile 2024, 00:30 - Ultimo aggiornamento: 15 Aprile, 09:15

È una riabilitazione post mortem quella di Carmelo Patti. L’ex patron della Valtur si è scrollato di dosso la più infamante delle accuse per un imprenditore: avere stretto un patto con i boss stragisti. Da Bernardo Provenzano a Matteo Messina Denaro. La Corte di Appello di Palermo ha annullato la confisca del suo patrimonio. In realtà agli eredi nulla o quasi sarà restituito perché nel frattempo dell’impero dell’imprenditore restano le macerie. Quando nel 2018 la sezione misura di prevenzione del tribunale di Trapani decise di confiscarlo venne stimato in un miliardo e mezzo di euro. Entrò nella storia giudiziaria italiana come uno dei provvedimenti più pesanti di sempre. I giudici di secondo grado di Palermo hanno escluso che Patti abbia avuto nel corso della sua attività rapporti di «vicinanza» con l’associazione mafiosa. «Gli hanno restituito l’onorabilità ingiustamente macchiata nel corso dei 13 anni di processo di prevenzione», dicono gli avvocati. «Si potrebbe dire che il tempo è galantuomo - proseguono i legali - restano, però, i segni di un’aggressione mediatica ingiustamente subita dal cavaliere Patti che è stato indicato al pubblico di molte trasmissioni televisive e dalla stampa nazionale come un imprenditore “vicino” al contesto mafioso di Castelvetrano». È l'attendibilità dei collaboratori di giustizia che si è sbriciolata.

Rosalia Messina Denaro, chiesta la condanna a 20 anni per la sorella del boss. «L'ha aiutato nella fuga»

LA PARABOLA DEL MANAGER

Nel paese in provincia di Trapani Carmelo Patti era nato in una famiglia povera.

Faceva il venditore ambulante di vestiti assieme al padre. Nel lontano 1962 furono dichiarati falliti. Poi, passo dopo passo, un’ascesa vertiginosa. I guai giudiziari di Patti iniziarono con il fallimento di alcune sue imprese. Il primo processo fu infatti per bancarotta post fallimentare. Poi seguì quello per associazione a delinquere finalizzata alla commissione di frodi fiscali. A cascata arrivarono le indagini per i presunti interessi mafiosi nelle sue imprese, l’imputazione per concorso esterno in associazione mafiosa e per il riciclaggio aggravato connesso all’acquisto del villaggio turistico di Favignana. Patti è sempre stato assolto o la sua posizione archiviata, ma i sospetti erano bastati per fare scattare la confisca in sede di misure di prevenzione. Ad accusarlo era stato soprattutto Angelo Siino, il cosiddetto “ministro dei Lavori pubblici” di Cosa Nostra. Raccontò di avere conosciuto Patti nel corso di una riunione, tra il 1989 e il 1990, nella casa di campagna di Filippo Guttaduro, il cognato di Matteo Messina Denaro. Erano presenti il padre di quest’ultimo, don Ciccio Messina Denaro, e Francesco Messina. Pezzi da novanta della mafia trapanese. I cablaggi furono la sua prima attività, concentrata fino al 1991 nel Nord Italia e in Campania. L’impresa di Patti, la Cablelettra, lavorava per Fiat ed Alfa Romeo. Tornò in Sicilia quando la casa torinese decise di affidargli anche le commesse che provenivano da Termini Imerese. Qui iniziò la sfilza di investimenti nel settore del turismo. Ora la riabilitazione post mortem e l'amarezza, manifestata dai suoi legali, per una giustizia di prevenzione che sa essere ingiusta soprattutto nei tempi.

© RIPRODUZIONE RISERVATA