Olindo e Rosa, sparite le registrazioni delle intercettazioni nella casa della strage. «C'era un'indagine per droga»

Abdi Kais è pronto a testimoniare in Italia: «Sono già stato minacciato»

Olindo e Rosa, sparite le registrazioni nella casa della strage: c'erano dieci cimici, ma i nastri non si trovano
di Valeria Di Corrado
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Venerdì 12 Gennaio 2024, 00:08 - Ultimo aggiornamento: 10:16

Un giallo nel giallo. Sono sparite nel nulla le intercettazioni che avrebbero potuto svelare, forse in diretta, la verità sulla strage di Erba; quella processuale, al momento, ha portato Olindo Romano e Rosa Bazzi alla condanna al carcere a vita. Nell’appartamento di via Diaz 25 - prima, durante e dopo la carneficina in cui l’11 dicembre 2006 vennero uccise tre donne e un bambino di due anni - era infatti in corso un’attività di indagine da parte della Guardia di Finanza su Azouz Marzouk e i suoi fratelli, poi arrestati per spaccio di stupefacenti. Questo perché quella casa, come ha riferito un membro della banda di Marzouk di cui ieri “Il Messaggero” ha riportato l’inedita testimonianza, era la base di custodia della droga e dei soldi ricavati dalla vendita delle dosi. Abdi Kais ha rivelato al legale dei coniugi Romano, nell’ambito delle sue indagini difensive, questo particolare non trascurabile, che insinua ulteriori dubbi sull’inchiesta sfociata nell’ergastolo per i coniugi Romano. 

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GLI OMISSIS
«Venivano intercettati tutti i cellulari e anche l’abitazione di Azouz in via Diaz - ha raccontato Kais in una saletta riservata dell’hotel Royal Victoria di Tunisi, il 19 febbraio 2023 - Ma tutto ciò poi non è emerso perché non c’erano i file delle intercettazioni.

Era pieno di “omissis”. L’ho appreso dagli atti relativi alla misura cautelare a me applicata dopo la strage, ma che riguardava anche fatti antecedenti alla strage». Il 38enne tunisino, infatti, è stato arrestato e condannato insieme al gruppo di Marzouk proprio per traffico di droga. Dopo aver espiato la sua pena, è rientrato in patria. Ma è pronto a tornare in Italia e testimoniare in aula se la Corte d’appello di Brescia dovesse decidere di riaprire il processo sulla strage di Erba, nonostante le minacce ricevute in questi mesi. «Per quello che ha rivelato, ha già perso due volte il lavoro in Tunisia - ha spiegato il suo legale, l’avvocato Ivano Iai - Posso confermare che nel fascicolo d’indagine che portò al suo arresto, non c’è traccia delle intercettazioni svolte dall’autorità giudiziaria nell’appartamento di via Diaz. Guarda caso, mancano i brogliacci di un paio di settimane prima la strage e un paio di settimane dopo».

Eppure quelle conversazioni telefoniche (e forse anche ambientali, stando a quanto riferito da Abdi Kais) avrebbero potuto fare piena luce su ciò che avvenne nell’appartamento dove si consumò il quadruplice omicidio e che poi venne dato alle fiamme per cancellare le prove. Anche solo per escludere con certezza la pista alternativa della spedizione punitiva organizzata da un gruppo rivale di spacciatori marocchini, per vendicarsi con la famiglia di Marzouk. Dalle rivelazioni di Kais, infatti, è emerso che il connazionale e socio in affari temeva per la vita di sua moglie e suo figlio: «Azouz mi ha detto, prima che io uscissi di galera, di tenere d’occhio Raffaella e il loro figlio Youssef. Sembrava molto spaventato e scuro in volto». E altri due testimoni mai ascoltati in dibattimento hanno riferito che la sera dell’11 dicembre, nell’orario in cui si consumava la strage ad Erba, avevano visto almeno due extracomunitari sospetti da angolazioni diverse. Fabrizio Manzeni, un inquilino di via Diaz 28 (dirimpettaio del civico 25), dalla finestra di casa li aveva notati litigare animatamente sotto il suo cancello e poi dirigersi verso piazza Mercato. «Dopo una decina di minuti mi sono affacciato di nuovo e ho constatato che effettivamente da una delle finestre dell’appartamento di Raffaella Castagna, proprio di fronte alla mia stavano uscendo delle fiamme», aveva spiegato il giorno dopo ai carabinieri della stazione di Erba. Un passante che si trovava nella vicina piazza Mercato, invece, aveva riferito ai militari di aver visto due uomini che parlavano in arabo scappare su un furgone bianco.

Testimonianze che avvalorerebbero, secondo la tesi difensiva di Olindo e Rosa, la pista alternativa della vendetta di un clan rivale ai Marzouk. Abdi Kais parla esplicitamente di una «faida» in corso con dei marocchini «per questioni di cocaina» e di un episodio precedente in cui avevano tentato di fare irruzione in un’altra abitazione che usavano come base di spaccio: «Si sono presentati per uccidere». Da quel giorno avevano spostato il “covo” in via Diaz. «I guadagni venivano custoditi in casa da Raffaella, insieme a orologi e altri oggetti di valore», mentre la droga veniva nascosta nelle piante del condominio. 

TRE COSTOLE ROTTE
«Quando ero in cella, nel 2005-2006, Azouz era con me - ha ricordato a febbraio scorso dall’hotel Royal Victoria di Tunisi - Mi parlava dei suoi problemi, delle indagini in corso. Mi riferì che, prima dell’applicazione della misura cautelare, la Guardia di Finanza disse a Raffaella che vi era un’indagine per droga a carico di suo marito, Azouz, e dei suoi fratelli, cioè di tutto il gruppo, fratelli e cugini». Alla domanda se in carcere Azouz avesse avuto litigi, il 38enne ha ricordato: «Sì, è stato picchiato dopo aver avuto dei problemi con dei Calabresi». «Qualche anno dopo la strage Azouz mi chiese di testimoniare e quella lettera mi costò tre costole»
 

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