Olindo e Rosa, all'ergastolo per la morte di 4 persone a Erba: cosa successe l'11 dicembre del 2006

Le vittime della strage nel condominio di via Armando Diaz furono Raffaella Castagna, suo figlio Youssef, la madre Paola Galli e la vicina Valeria Cherubini

Strage di Erba, cosa è successo l'11 dicembre del 2006: dall'ergastolo di Rosa e Olindo alla revisione del processo, la ricostruzione
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Martedì 9 Gennaio 2024, 16:49 - Ultimo aggiornamento: 19:32

Riparte il processo per la strage di Erba. Come reso noto da Fabio Schembri, uno dei legali di Olindo Romano e Rosa Bazzi, la corte d'appello di Brescia ha dato l'ok per la revisione della sentenza con cui i due coniugi sono stati condannati all'ergastolo per i fatti accaduti l'11 dicembre del 2006, quando quattro persone furono trovate senza vita in un condominio di Erba, in provincia di Como.

Strage di Erba, sì alla revisione del processo per Olindo Romano e Rosa Bazzi. Via libera della corte d'appello di Brescia

Gli omicidi

L'11 dicembre del 2006, in un appartamento di Erba, in provincia di Como, quattro persone vennero trovate senza vita, uccise con coltelli e armi contundenti. Si trattava di Raffaella Castagna, 30 anni, suo figlio Youssef, di due, sua madre Paola Galli, 57 anni, e una vicina di casa, Valeria Cherubini, di 55 anni. Oltre a loro, fu colpito alla gola da una profonda coltellata anche il marito di Cherubini, Mario Frigerio, che riuscì però a salvarsi.

Le vittime furono ritrovate a seguito di un incendio, divampato all'interno di uno degli appartamenti del condominio di via Armando Diaz in cui vivevano. Due vicini di casa, uno dei quali pompiere volontario, entrarono per primi nella palazzina, raggiungendo il primo piano e fermandosi a ridosso del pianerottolo, dove trovarono Mario Frigerio steso per terra. Dopo aver trascinato l'uomo per le caviglie lontano dal fuoco, i due vicini chiamarono i soccorsi, che riuscirono ad entrare nell'abitazione dalla porta, lasciata socchiusa. Appena entrati trovarono il corpo senza vita e in fiamme di Raffaella Castagna, prima di sentire la richiesta di aiuto di un'altra donna, proveniente dal piano superiore. A causa del fuoco e del fumo i soccorritori dovettero però aspettare l'arrivo dei Vigili del Fuoco per poter intervenire. Una volta domato l'incendio, oltre al corpo di Raffaella Castagna vennero ritrovati quelli del figlio Youssef, Paola Galli e Valeria Cherubini.

Le autopsie

Dopo le autopsie sui corpi delle vittime, gli inquirenti decretarono che Raffaella Castagna era stata aggredita e colpita ripetutamente con una spranga, prima di essere accoltellata dodici volte e poi sgozzata. All'interno dell'appartamento, nel corridoio vicino alla camera della nipote, era stata uccisa anche la madre, Paola Galli, colpita anche lei da coltellate e sprangate e morta a causa delle lesioni alla testa. Il figlio, invece, era morto dissanguato sul divano, dopo aver ricevuto un unico colpo alla gola. Nell'appartamento al piano superiore venne poi trovata la vicina di casa Valeria Cherubini, accorsa nell'abitazione di Raffaella Castagna per prestare aiuto dopo aver visto il fumo uscire dalla casa. Ferita gravemente da 34 coltellate e 8 sprangate, morì a causa del monossido di carbonio proveniente dall'incendio. I rilievi evidenziarono che gli aggressori erano stati due, uno dei quali mancino. Le armi usate, invece, erano due coltelli a lama corta e lunga e una spranga.

Le indagini

In un primo momento le indagini si concentrarono sul marito di Raffaella Castagna, Azouz Marzouk. L'uomo aveva precedenti per spaccio di droga, e gli inquirenti individuarono in lui il colpevole dei delitti. Presto, però, si scoprì che al momento della strage l'uomo si trovava in Tunisia dalla sua famiglia di origine. Rientrato in Italia, i carabinieri lo interrogarono e confermarono il suo alibi, ritenendolo quindi estraneo ai fatti. Gli inquirenti iniziarono così a indagare su due vicini di Castagna, Olindo Romano e Rosa Bazzi, che in passato avevano avuto contenziosi proprio con la donna. Nonostante la strage, i coniugi si erano dimostrati disinteressati alla vicenda, non chiedendo nemmeno rassicurazioni alle forze dell'ordine. Un fatto, questo, che allarmò gli inquirenti, che sequestrarono così gli indumenti della coppia e misero sotto controllo la loro abitazione e l'automobile. Inoltre, subito dopo il delitto, mostrarono alle forze dell'ordine uno scontrino di McDonald's per scagionarsi, quando in realtà i carabinieri non avevano posto nessuna domanda a riguardo. Grazie ai rilievi fatti sull'automobile della coppia, gli inquirenti scoprirono delle tracce ematiche di Valeria Cherubini. Su vestiti, affetti personali e nell'abitazione non venne trovato invece nulla. Rosa Bazzi e Olindo Romano vennero così fermati l'8 gennaio del 2007 e arrestati dopo un lungo interrogatorio. L'uomo venne accusato di omicidio plurimo pluriaggravato, mentre la moglie di concorso. Saranno poi i rilievi dei RIS a indicare la presenza di una seconda persona nella strage, mancina come Bazzi. La coppia continuò però a ribadire la sua innocenza, dichiarando di aver trascorso la serata in un McDonald's di Como. Un fatto, questo, testimoniato anche da uno scontrino, il cui orario però era due ore avanti rispetto alla strage. Il 10 gennaio del 2007 ci fu però un colpo di scena: davanti ai magistrati, i due coniugi ammisero di essere gli esecutori della strage, addossandosi separatamente l'intera responsabilità e descrivendo dettagliatamente i singoli atti, il tipo di ferite, le armi usate e le posizioni dei corpi delle vittime. Contro di loro ci fu anche la testimonianza di Mario Frigerio, unico sopravvissuto: «Lo ripeterò finché campo: è stato Olindo, mi fissava con occhi da assassino, non dimenticherò quello sguardo per tutta la vita, ho come una fotografia. Olindo era una belva, mi schiacciava con il suo peso, era a cavalcioni su di me. Ha estratto il coltello mentre mia moglie invocava aiuto. Poi mi ha tagliato la gola, non ho sentito più nulla, solo il sangue che usciva e il fuoco che divampava. Ho pensato: se non muoio per la ferita, muoio tra le fiamme».

Il processo

Il 10 ottobre successivo, Olindo Romano ritrattò però la sua confessione, dichiarando di essere innocente, così come sua moglie. Il 12 ottobre entrambi furono rinviati a giudizio, in attesa della prima udienza, tenutasi il 29 gennaio del 2008. Durante l'udienza, i due si scambiarono effusioni e ridacchiarono, anche durante la proiezione delle foto dei cadaveri delle vittime. Romano affermò che erano stati i carabinieri a spingerlo a confessare, promettendogli in cambio pochi anni di carcere e la scarcerazione della moglie. Il 26 novembre la Corte D'Assise pronunciò la sentenza di primo grado e i due coniugi furono condannati all'ergastolo con isolamento diurno per tre anni.

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