«Ampie tracce di sangue vicino a casa». Quando ieri sera i carabinieri le hanno trovate, Alessandro Impagnatiello, barman trentenne, è crollato. «Sì, ho ucciso Giulia». Freddo, insensibile, con la stessa distanza emotiva con la quale sabato ha pianificato l’assassinio della compagna, incinta di sette mesi: ha aspettato con tornasse dall’incontro con l’ex collega americana con cui lui conduceva una vita sentimentale parallela, ha cercato sul web il modo per disfarsi del corpo, ha provato a bruciarlo due volte senza riuscirci e alla fine l’ha buttato in un vano dietro alcuni garage a Senago. La Procura, oltre all’omicidio aggravato e all’occultamento di cadavere, gli contesta la premeditazione.
L'incontro con l'altra
Impagnatiello, davanti agli inquirenti, «ha ammesso l’omicidio ma non ha raccontato la verità, perché la sua versione non è del tutto genuina, ci sono circostanze che non tornano», sottolinea il comandante provinciale dei carabinieri Jacopo Mannucci Benincasa.
«Sono libero»
Dopo l’accoltellamento, Impagnatiello mette il corpo della fidanzata nella vasca da bagno, lo cosparge di benzina e gli dà fuoco. Il primo tentativo però non gli riesce. Lascia lì la compagna e contatta la sua amante: «Se n’è andata, adesso sono libero», le dice, giurando che il figlio che Giulia portava in grembo non fosse suo. La collega, però, spaventata, si rifiuta di incontrarlo e gli propone un confronto a distanza «da due finestre». Dopo di che il barman torna a casa a Senago, trasferisce il cadavere di Giulia e prova di nuovo ad appiccare il fuoco con la benzina. Per poi decidere di occultarlo in un’intercapedine. «Questa terribile vicenda insegna a noi donne che non dobbiamo mai andare agli incontri chiarificatori: Giulia si era già vista con l’altra donna, hanno parlato, c’è stata solidarietà tra loro due. L’altra si è anche preoccupata», sottolinea il procuratore aggiunto Letizia Mannella. «Dopo però Giulia ha deciso di affrontare il compagno». Chiara, la sorella di Giulia Tramontano, parla per tutta la famiglia: «Grazie. Grazie di averci dato la speranza di trovarla. Grazie di averci creduto ed aiutato. Grazie dal profondo del cuore di una famiglia distrutta, di fratelli che non hanno avuto la possibilità di cullare il proprio nipote. Di genitori che sono stati privati del diritto di essere tali».
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