Genitore 1 e 2, i giudici bocciano il decreto Salvini: «Non necessaria la dicitura madre-padre»

Il tribunale "ordina" al Viminale di «indicare sulla carta d'identità elettronica del minore» il termine «genitore». Per il ministro è sbagliato

Genitore 1 e 2, giudici bocciano il decreto Salvini: «Non necessaria la dicitura madre-padre»
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Giovedì 15 Febbraio 2024, 13:10 - Ultimo aggiornamento: 16 Febbraio, 00:08

Il tribunale «ordina» al Viminale di «indicare sulla carta d'identità elettronica del minore» il termine «genitore» o una «dizione corrispondente alle risultanze dello stato civile, in corrispondenza dei nomi». È quanto hanno cristallizzato i giudici della Corte di Appello di Roma nella sentenza di otto pagine con cui intervengono sulla questione legata al decreto del ministero dell'Interno del 2019, all'epoca guidato da Matteo Salvini, e in particolare sulla dicitura da utilizzare sulle carte d'identità elettroniche rilasciate a persone minorenni. «Una decisione sbagliata» attacca l'attuale vicepremier, secondo cui «ognuno deve sempre essere libero di fare quello che vuole con la propria vita sentimentale, ma certificare l'idea che le parole mamma e papà vengano cancellate per legge è assurdo e riprovevole. Questo non è progresso».

 

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Genitore 1 e 2, le reazioni

Di tutt'altro avviso l'associazione Famiglie Arcobaleno per la quale la sentenza sostanzialmente «smentisce» il disposto ministeriale che stabiliva la sostituzione nei documenti di identità della dicitura «genitori» con quella di «padre a madre».

La decisione dei giudici di secondo grado è legata ad un procedimento promosso da una coppia di mamme che aveva impugnato il decreto anche davanti al Tar chiedendo l'emissione di un documento d'identità «che rispecchi la reale composizione della loro famiglia». Già in primo grado il tribunale aveva accolto la richiesta delle mamme, dichiarando di fatto illegittimo il decreto in quanto il documento emesso «integra gli estremi materiali del reato di falso ideologico commesso dal pubblico ufficiale in atto pubblico». E ora i giudici di appello, sostiene l'associazione, hanno «ribadito un concetto molto semplice: sulla carta d'identità di un bambino/bambina non possono essere indicati dati personali diversi da quelli che risultano nei registri dello stato civile».

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Nel provvedimento si afferma inoltre che «proprio l'esistenza di istituti come l'adozione in casi particolari, che può dar luogo alla presenza di due genitori dello stesso sesso ( l'uno naturale, l'altro adottivo) dimostra che le diciture previste dai modelli ministeriali (padre/madre) non sono rappresentative di tutte le legittime conformazioni dei nuclei familiari e della conseguente filiazione imposte dai modelli ministeriali». «Non possiamo che essere felici di questa sentenza - dicono i legali delle due mamme, Susanna Lollini e Mario di Carlo - Se nei registri è indicato che è figlio/figlia di due madri, una delle quali lo ha adottato, allora i 'modelli ministerialì devono rispettare quella indicazione. Noi lo abbiamo sempre pensato, adesso la Corte d'Appello lo ha confermato». Soddisfatta anche la presidente di Famiglie Arcobaleno Alessia Crocini che ricorda come l'associazione «già nel 2019 aveva denunciato il qualunquismo ideologico del decreto Salvini».

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Genitore 1 e 2, le reazioni della politica

E non si sono fatte attendere le reazioni politiche, con l'ex presidente della Camera Laura Boldrini a sottolineare che un decreto «non può cambiare la realtà delle famiglie italiane, il genere delle persone e non può discriminare i bambini perché figli di coppie dello stesso sesso», e con il segretario di +Europa Riccardo Magi a definire il provvedimento bocciato «omofobo e discriminatorio» di Salvini». Per il Circolo di Cultura Omosessuale Mario Mieli, il decreto dell'ex titolare del Viminale era una follia che viola le regole «per puro estremismo». Di tutt'altro avviso le Pro Vita e Family Day. «É una decisione pericolosa - afferma la prima, perché - si legittimano due donne o due uomini ad essere entrambi genitori», mentre Massimo Gandolfini parla di una «forzatura ideologica».

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