Felice Maniero arrestato per maltrattamenti. «Faccia d'Angelo» si difende: non è come sembra

Felice Maniero arrestato per maltrattamenti. «Faccia d'Angelo» si difende: non è come sembra
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Sabato 19 Ottobre 2019, 08:13 - Ultimo aggiornamento: 19:36

«Sono Felice Maniero, da oggi il mio lavoro è il giornalista d'inchiesta» diceva davanti alle telecamere del web solo pochi mesi fa l'ex boss della Mala del Brenta. Per ora sotto inchiesta è finito lui, in carcere da ieri mattina con l'accusa di maltrattamenti nei confronti della compagna di una vita, una donna di 47 anni, madre della sua figlia 18enne, che lo accompagna dagli anni 90. L'indagine della Procura di Brescia durava da tempo e il gip Luca Tringali ha accelerato i tempi, firmando l'ordinanza di custodia cautelare, con la nuova legge del codice rosso. 

Felice Maniero, dagli omicidi all'ultimo arresto: chi è “Faccia d'angelo”

Faccia d'angelo, come è sempre stato soprannominato, è stato arrestato nella casa dove da tempo vive a Brescia, nella zona nord della città, quartiere residenziale, con una nuova identità. E ha pianto davanti ai poliziotti che lo hanno riportato in carcere dove mancava dall'agosto 2010, quando aveva finito di scontare le condanne - ridotte grazie alla collaborazione fornita dal 1995 - per il suo passato segnato da omicidi, rapine, assalti ai portavalori e traffico di droga. Dal terrore seminato in Veneto, alle lacrime di Brescia, un passo lungo 30 anni. «Non è certo l'uomo che si può pensare nell'immaginario collettivo. Non ha negato alcuni scontri con la compagna, ma ritiene il quadro amplificato probabilmente per il suo passato criminale», ha spiegato l'avvocato Luca Broli, nominato di fiducia dopo un lungo incontro questa mattina in carcere a Bergamo dove Maniero è ristretto in una zona protetta. 
 

 

«Ho incontrato una persona sicuramente affranta e preoccupata per le contestazioni mosse nei suoi confronti» ha raccontato il difensore che lunedì sarà al fianco del boss del Brenta nel corso dell'interrogatorio di convalida dell'arresto. La compagna che lo ha denunciato e fatto arrestare, da questa estate vive lontano da lui, in una comunità protetta come chiesto e ottenuto davanti a quello che ha raccontato essere l'ennesimo episodio di violenza fisica e psicologica subito. Il primo pensiero di Maniero ieri mattina quando è stato arrestato, è andato alla figlia 18enne alla quale è legatissimo. «Mi ha raccontato che è la sua ragione di vita e vuole proteggerla», spiega il legale. Già una volta lo Stato aveva tolto la protezione al boss della Mala veneta e ora, alla luce di questo nuovo arresto, la posizione di Faccia d'angelo sarà valutata. x
 

«Ho incontrato una persona sicuramente affranta e preoccupata per le contestazioni mosse nei suoi confronti» ha raccontato il difensore che lunedì sarà al fianco del boss del Brenta nel corso dell'interrogatorio di convalida dell'arresto. La compagna che lo ha denunciato e fatto arrestare, da questa estate vive lontano da lui, in una comunità protetta come chiesto e ottenuto davanti a quello che ha raccontato essere l'ennesimo episodio di violenza fisica e psicologica subito. Il primo pensiero di Maniero ieri mattina quando è stato arrestato, è andato alla figlia 18enne alla quale è legatissimo. «Mi ha raccontato che è la sua ragione di vita e vuole proteggerla», spiega il legale. Già una volta lo Stato aveva tolto la protezione al boss della Mala veneta e ora, alla luce di questo nuovo arresto, la posizione di Faccia d'angelo sarà valutata. Maniero dopo aver ritrovato la libertà aveva avviato con il figlio illegittimo un'azienda che si occupava di depurazione delle acque. Progetto naufragato nel 2015 e ora si era inventato giornalista d'inchiesta lanciando la sua campagna contro le microplastiche. Parlava al popolo della rete dal salotto della sua casa bresciana, dove gli agenti di Polizia lo hanno prelevato nelle scorse ore. «Ne uscirò, dimostrerò - dice oggi - che non è come sembra».



LE EVASIONI
Maniero fu arrestato per la prima volta nel 1980. Due le sue evasioni più celebri: nel 1987 fugge dal carcere di Fossombrone, facendo poi rubare il 10 ottobre 1991 ai suoi uomini il mento di Sant'Antonio da Padova per ricattare lo Stato e chiedere la libertà del cugino, senza esito, poi nell'agosto 1993 è arrestato sul suo yacht al largo di Capri e viene detenuto nel carcere di Vicenza, dove tenta l'evasione corrompendo, con la promessa di 80 milioni ciascuno, due guardie penitenziarie che però si ravvedono ed avvertono la direzione del carcere.



Viene deciso così il trasferimento al carcere di Padova dove però, il 14 giugno 1994, è protagonista di un'altra evasione assieme ad altri complici (anche in questo caso con la corruzione, questa volta riuscita, di una guardia penitenziaria). Maniero esce dal portone principale del carcere senza problemi.

LA LATITANZA
La lunga latitanza di Maniero è dovuta in gran parte a un sistema corruttivo che la banda esercitava a vari livelli nei confronti dello Stato. Catturato a Torino nel novembre successivo, viene condannato a 33 anni di reclusione, poi ridotti a venti anni e quattro mesi (pena definitiva). 



IL PENTITO
Nel febbraio 1995 divenne collaboratore di giustizia e con le sue dichiarazioni contribuì a smantellare la sua banda. Viene alloggiato con la famiglia in una villa a Spoltore in provincia di Pescara tanto che ne nasce uno scandalo con perdita della protezione per alcuni pentiti (mentre Maniero la perde per essersi allontanato dal domicilio).

LA CONDANNA
Il 14 dicembre 1996 è condannato dalla Corte d'assise d'appello di Venezia a 11 anni di carcere e 60 milioni di lire di multa grazie alle attenuanti generiche e alla diminuente per la collaborazione. Il 2 maggio 1998 è arrestato per scontare la pena residua, quattro anni. Dopo essere divenuto collaboratore di giustizia, viene ammesso al programma di protezione, cambiando nome e scontando la pena in una località segreta. Nel febbraio 2006 il suo nome ritorna sui giornali per il suicidio della figlia ventinovenne.

IN LIBERTA'
Dal 23 agosto 2010 torna in libertà, con una nuova identità, dopo la scadenza dell'ultima misura restrittiva nei suoi confronti.
Possedeva e lavorava, assieme al figlio, in un'azienda che si occupa di depurazione di acque, la Anyaquae, che godeva di certificazioni e commesse pubbliche. L'azienda fallì nel 2016 in seguito alla scoperta da parte dell'ASL di valori d’arsenico fuori norma nel sistema di depurazione delle casette per l’acqua pubblica.

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