Davigo e gli imputati che si suicidano: «Peccato, perdi una fonte di informazioni». Polemiche dopo l'intervista da Fedez

Le dichiarazioni choc dell'ex magistrato, ospite del podcast Muschio Selvaggio, sollevano un polverone

Davigo e gli imputati che si suicidano: «Peccato, perdi una fonte di informazioni»
di Michela Allegri
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Giovedì 14 Dicembre 2023, 00:26 - Ultimo aggiornamento: 07:28

Nell’ultima puntata del podcast Muschio Selvaggio, Fedez intervista l’ex pm del pool di Mani Pulite, Piercamillo Davigo, si parla di Tangentopoli e si affronta il tema del suicidio nelle carceri e di persone coinvolte nelle indagini. Le risposte dell’ex magistrato alle domande del rapper in pochi minuti scatenano un’ondata di polemiche. Dopo aver parlato del caso dell’imprenditore Raul Gardini, che nel 1993 durante l’inchiesta si tolse la vita sparandosi un colpo di pistola, Fedez chiede a Davigo come abbia vissuto umanamente quelle vicende, cosa abbia provato di fronte al suicidio di un indagato o di un imputato. E l’ex pm risponde: «Purtroppo, per quanto sia crudo quel che sto dicendo, in questo mestiere capita che gli imputati si suicidino. La mortalità nelle carceri per suicidio è più alta che fuori». Poi, soprattutto, quando il cantante chiede se gli sia dispiaciuto, Davigo aggiunge: «Ma certo che dispiace... prima di tutto, se uno decide di suicidarsi lo perdi come fonte di informazioni». Una dichiarazione a cui Fedez replica sollecitando una reazione meno gelida - «Lei è sempre stato così inscalfibile. Io dico: umanamente, un po’ di dispiacere?» - e l’ex magistrato puntualizza: «Certo che uno ha un po’ di dispiacere, la pietà umana c’è lo stesso, però bisogna tenere la barra del timone ferma».

LA PUNTUALIZZAZIONE
Davigo aveva prima sottolineato: «So che è una cosa spiacevole quella che sto per dire, ma è la verità. Bisogna aver chiare le cose: le conseguenze dei delitti ricadono su quelli che li commettono, non su coloro che li scoprono e li reprimono. Perché altrimenti il ragionamento porterebbe a dire: allora non fate le indagini».

Dopo le dichiarazioni dell’ex pubblico ministero, è montata la polemica, prima tra gli ascoltatori del podcast, poi negli ambienti giudiziari e della politica. «Sono affermazioni e posizioni che lasciano davvero stupefatti. Non basta certo contrastare i fenomeni criminosi più gravi. La dignità, l’integrità, la vita delle persone, sono un bene che deve evidentemente prevalere su qualsiasi altra necessità di accertamento, altrimenti si ha un’idea barbara del processo e del ruolo della magistratura», ha dichiarato il presidente dell’Unione delle Camere penali, Francesco Petrelli. Il professor Ennio Amodio, uno degli avvocati in prima linea durante la stagione di Mani Pulite, ha parlato di «cinismo giudiziario».

Anche Stefano Cagliari, figlio di Gabriele, l’ex presidente dell’Eni suicida a San Vittore dopo 134 giorni dietro le sbarre, ha commentato le parole dell’ex magistrato: «Il problema di queste dichiarazioni è che si basano su un ragionamento fallace: in realtà il pubblico ministero non è un giudice, l’ex pm di Mani Pulite Piercamillo Davigo parla come se fosse lui a decidere se un imputato è colpevole, parla come se un imputato fosse sempre colpevole e non invece il contrario e cioè presunto innocente fino a sentenza, come vorrebbe la Costituzione». Cagliari ha poi puntato il dito contro il metodo Tangentopoli: «Ti tengo in carcere finché tu non dici quello che io voglio che tu dica, una tortura psicologica condannata quasi da tutti quelli che hanno analizzato quegli anni. Gardini non voleva essere sottoposto a quella tortura psicologica, ampiamente denunciata nelle lettere di mio padre, per questo si è ucciso. Ci si dimentica anche che se i metodi dei pm inducono al suicidio significa che sono metodi sbagliati, perché inefficaci, anche nell’ottica più cinica possibile, che è quella di Davigo».

Il capogruppo di Forza Italia al Senato, Maurizio Gasparri, ha invece detto che le affermazioni di Davigo «lasciano sconcertati. Una mancanza assoluta di rispetto della dignità della persona umana e del dolore delle famiglie che hanno patito quelle perdite, a prescindere dalle responsabilità di ordine penale».
 

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