Coronavirus, le Regioni riducono le terapie intensive. L'allarme del governo: «E' troppo presto»

Coronavirus, le Regioni riducono le terapie intensive. L'allarme del governo: «E' troppo presto»
di Mauro Evangelisti
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Sabato 25 Aprile 2020, 10:45 - Ultimo aggiornamento: 20:25

Allarme nel governo: alcune regioni stanno riducendo le disponibilità di letti di terapia intensiva, ma così si rischierà di compromettere le nuove riaperture previste per il 4 maggio, causando nuovi blocchi. In particolare, la Lombardia in dieci giorni ha ridotto di 260 unità i posti per i pazienti più gravi, rinunciando al contributo dei privati. «Ma prima - si ragiona all'interno del governo - avrebbero dovuto predisporre delle alternative».
Quando sarà allentato il lockdown ci sarà la vigilanza costante su alcuni indicatori che faranno scattare nuove chiusure se dovessero raggiungere determinati valori. Sarà come un sistema di allarme e non si baserà solo sul numero dei contagi o sulle oscillazioni dell'R con 0, l'indice di intensità della trasmissione del virus. No, uno degli indicatori più importanti, insieme alla disponibilità di Covid-Hospital, sarà il tasso di riempimento delle terapie intensive, che oggi in Lombardia è sopra l'80 per cento, nel Lazio tra il 30 e il 40. Il governo è preoccupato perché, ora che l'uragano coronavirus sembra placarsi, molte regioni stanno rimodulando le terapie intensive, riducendo i posti aggiuntivi che erano stati preparati in fretta e furia quando a partire è iniziata l'emergenza.

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SCENARIO
Attualmente per Covid-19 in Italia sono ricoverati in terapia intensiva 2.173 pazienti; certo, sono quasi la metà rispetto a qualche settimana fa, quando era stata superata quota 4.000. Ma sono comunque molti, perché occupano un quarto dei posti disponibili, tenendo conto che quei letti devono dare risposte anche ad altre urgenze. E solo in Lombardia sono 756 i pazienti Covid ancora in terapia intensiva. Prima dell'uragano in Italia c'erano 5.324 posti di quel tipo, dal Ministero della Salute era stato chiesto alle Regioni un incremento di almeno il 50 per cento. C'è stata la corsa ai ventilatori, uno strumento non semplice da trovare perché molti paesi del mondo si sono trovati a combattere lo stesso nemico, Sars-CoV-2.
C'è una tabella che circola negli ambienti del governo. E dice che il 13 aprile, l'Italia era riuscita a consolidare un patrimonio di 9.463 letti di terapia intensiva. Sono trascorsi dieci giorni e, sempre secondo quella tabella, c'è stata una riduzione: si è scesi a 8.817, molte regioni hanno tagliato la dotazione convinte che il peggio sia passato.
Nell'analisi più specifica, si scopre che c'è qualche eccezione; l'Emilia-Romagna ha deciso di proseguire nell'opera di rafforzamento dei reparti dedicati ai casi più gravi: il 13 aprile aveva raggiunto quota 689, è passata a 708, ha inaugurato un hub nazionale spalmato su una serie di ospedali a Parma, Modena, Bologna e Rimini. Bene anche la Sicilia, che in dieci giorni ha aggiunto altri 39 posti letto e la Puglia, più 20.
RETROMARCIA
Ma in Lombardia, malgrado la situazione ancora molto pesante visto che anche ieri ci sono stati oltre mille nuovi casi positivi, si sta andando nella direzione opposta: 1.800 posti il 13 aprile, 260 in meno dieci giorni dopo. Si dirà: c'è una logica, visto che ci sono meno pazienti. Ma non è così: rinunciando al contributo dei privati senza allestire un analogo numero di letti nelle strutture pubbliche, la Lombardia (dove solo a Milano ieri ci sono stati 412 nuovi casi positivi) butta un ombrello mentre continua a piovere.
E così la fase 2 rischia di non partire in sicurezza. Anche il Piemonte, che è la terza regione per pazienti ricoverati in terapia intensiva, ha ridotto i posti (meno 65); tagli nelle province autonome di Trento e Bolzano (in totale - 151). Riduzioni anche nel Lazio (meno 60) e in Campania (meno 159), ma in questo caso, rispetto alla Lombardia, si parla di regioni distanti dal limite di massima occupazione.
M.Ev.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

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