Coronavirus, i ricoveri la vera emergenza: +23% al giorno, pochi posti letto

Coronavirus, i ricoveri la vera emergenza: +23% al giorno, pochi posti letto
di Mauro Evangelisti
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Domenica 1 Marzo 2020, 08:46 - Ultimo aggiornamento: 10:29

In un giorno i casi totali di coronavirus sono aumentati del 27 per cento, ma è un'altra la percentuale che bisogna seguire con attenzione per comprendere se il sistema sanitario nazionale può reggere all'emergenza Covid-19: il tasso di ospedalizzazione. In altri termini: a che ritmo sta aumentando il numero dei ricoveri? Qui sorgono i problemi, perché l'incremento giornaliero è del 23 per cento, una percentuale che schizza al 60 per cento se ci soffermiamo solo su quelli più gravi, destinati a Terapia intensiva. Altro problema: il 55 per cento dei contagiati e il 66 dei ricoverati si sta concentrando il Lombardia, dove il sistema viene messo alla prova.

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Spiega l'assessore alla Salute della Regione Lombardia, Giulio Gallera: «L'ospedale di Cremona è quello più sotto pressione assieme a quello di Lodi. Abbiamo bisogno di personale specializzato». L'altra area che si trova con l'improvvisa necessità di posti letto è soprattutto l'Emilia, in particolare la provincia di Piacenza. Dei 218 positivi, 138 sono nel Piacentino e 35 nella vicina Parma.
 



COLLO DI BOTTIGLIA
In sintesi: se i ricoveri aumenteranno ogni giorno del 23 per cento, se i casi più gravi in cui serve la terapia intensiva (sono passati in un giorno da 64 a 105) si moltiplicheranno con questi ritmi, si creerà un doppio collo di bottiglia che farà saltare il sistema: uno è temporale, vale a dire troppe richieste di assistenza nello stesso tempo; uno è geografico, troppi pazienti concentrati nella stessa area (soprattutto tra Lodi, Cremona, Pavia e Piacenza). Se a livello nazionale ci sono 5.090 posti letto di terapia intensiva, una richiesta tutta concentrata in una sola zona può essere un problema serio, perché parliamo di pazienti che spesso non possono essere trasportati e di posti letto preziosi che devono rispondere anche ad altri tipo di patologie e urgenze.

Spiega Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, un'organizzazione indipendente che fa studi sanitari e analisi indipendenti sulla base dei dati della Protezione civile: «La vera urgenza è predisporre un piano di reperimento di posti per terapia intensiva e ricoveri ospedalieri. Inoltre, è giusto mantenere le misure di contenimento in regioni come Lombardia, Emilia e Veneto, dalla chiusura delle scuole all'invito a evitare luoghi affollati, perché dobbiamo assolutamente guadagnare tempo. Dobbiamo rallentare la diffusione del contagio, in modo da spalmare nel tempo la richiesta di ricoveri e assistenza. Se invece il contagio cresce troppo in fretta e si produce un picco di necessità di assistenza, il sistema non ce la può fare».

Anche perché c'è un altro collo di bottiglia: i posti in isolamento di malattie infettive. Giusto comunque sempre ricordare che la maggioranza degli infetti sta bene ed è isolato a casa o è guarito (593 su 1.128). Il problema è la parte a cui serve ricovero.

Prendere tempo, però, non significa restare con le mani in mano, significa utilizzare i giorni guadagnati per predisporre le strutture ospedaliere. «Se ci muoviamo subito - dice Carlo Palermo, leader di Anaao-Assomed (dirigenti medici) - possiamo farcela». C'è una rappresentazione grafica molto significativa, elaborata da Gimbe da una pubblicazione internazionale, che fa ben capire la situazione: una linea racconta l'andamento dell'epidemia senza misure di contenimento e va repentinamente a raggiungere un picco che supera il livello medio di sopportazione del sistema sanitario; l'altra, invece, con le misure di contenimento come quelle decise e confermate nel nord Italia, fa una curva più dolce, spalma su più giorni l'incremento dei ricoveri e dunque consente di non superare quel livello di sopportazione da parte del sistema.

Sintesi: fare sacrifici, limitare viaggi e manifestazioni, non serve a vincere la battaglia contro il coronavirus; serve però a fare melina, a diluire l'impatto per assistere in modo adeguato quel 20 per cento con sintomi più gravi e quel 5 in terapia intensiva. E gli ospedali devono continuare a funzionare anche per tutte le altre urgenze. Gallera parla della Lombardia: «Da noi ad esempio è partito il reclutamento all'interno degli altri presidi di figure mediche specifiche come infettivologi, medicina urgenza, internisti. Dall'ospedale di Varese specialisti si sposteranno a Lodi. E nei presìdi di Lodi e Cremona le ambulanze non trasportano più le persone, ma le dirottano su altri ospedali così da non sovraccaricare il sistema sanitario lombardo».

Un altro tema è quello della dotazione delle strutture ospedaliere, a partire dai kit di protezione, che nei giorni scorsi si stavano esaurendo. Conclude Carlo Palermo di Anaao-Assomed: «Nei giorni scorsi avevamo ricevuto un allarme da Veneto e Lombardia, sabato e domenica stavano finendo. Abbiamo rischiato di trovarci senza Dpi: guanti monouso, sovra camici, visiere, mascherine. Servono anche ventilatori per la respirazione assistita. In sintesi: 1.000 contagiati possiamo gestirli, 10.000 diventerebbero un problema».
 

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