Shopping e qualche sfizio di troppo, in assenza di un impiego, rischiano di costare davvero caro a chi percepisce un assegno di mantenimento: la Cassazione, con una sentenza che crea un importante precedente, ha stabilito la revoca degli assegni per il coniuge che effettua «spese voluttuarie», cioè frivole, e che, invece di lavorare, si dedica ad attività di svago, come fare acquisti non necessari e, magari, trascorrere le giornate in palestra invece di cercare un’occupazione retribuita.
IL CALCOLO
Nelle motivazioni della sentenza - depositata il 18 gennaio -, la Corte sottolinea infatti che l’assegno di divorzio ha «una funzione assistenziale e compensativa», richiede l’accertamento «dell’inadeguatezza dei mezzi, o comunque dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive». L’importo viene calcolato sulla base della «valutazione comparativa delle condizioni economiche delle parti», tenendo in considerazione il contributo fornito alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi. L’obiettivo è consentire «il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tendendo conto delle aspettative professionali sacrificate», si legge ancora nella sentenza. L’assegno non è dovuto, invece, se il coniuge si rifiuta di lavorare pur avendone la possibilità e se ha redditi adeguati a mantenersi e ad affrontare le spese che derivano dalla nuova condizione di vita.
LA SENTENZA
IL RICORSO
La donna ha fatto ricorso contro la decisione di secondo grado, sostenendo, tra le altre cose, che non fosse stato tenuto conto del suo contributo alla vita familiare, alla ristrutturazione della casa coniugale, al pagamento del mutuo, delle spese per il nuovo contratto di locazione e della situazione reddituale dell’ex marito. I giudici, però, le hanno dato torto, condannandola a pagare anche le spese processuali. Hanno sottolineato nella sentenza che nel calcolo dell’assegno di mantenimento è necessario verificare se il divorzio abbia prodotto «uno squilibrio effettivo e non di modesta entità» tra i due componenti della coppia, e se l’eventuale differenza di reddito sia riconducibile «alle scelte comuni di conduzione della vita familiare, alla definizione dei ruoli dei componenti della coppia, al sacrificio delle aspettative lavorative e professionali».
I REDDITI
In questo caso i magistrati hanno specificato che la donna, «al momento della dissoluzione del matrimonio, aveva la capacità di dedicarsi all’attività lavorativa» e non l’ha fatto. Hanno quindi aggiunto che «dal suo conto corrente e dalle spese sostenute, anche voluttuarie», è emerso che «disponeva di redditi idonei a renderla economicamente autonoma e in grado di sostenere i corsi dell’abitazione presa in locazione».
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