Lo racconta Il Mattino.
Invece no. Dal medico il ragazzino non ci è mai arrivato perché lungo la strada ha avuto la sfortuna di imbattersi in una baby gang armata di coltelli in cerca di qualcuno su cui sfogare una violenza assurda e ingiustificata: «La prima cosa che ho visto sono stati i lampeggianti delle macchine della polizia. E poi gente che andava e veniva. Mi sono fatta largo tra la folla sperando di incontrare mio figlio: Arturo invece era a terra, in un lago di sangue e con una mano si stringeva il collo come a cercare di bloccare l’emorragia. Nei pochi minuti di lucidità prima di perdere conoscenza è riuscito solo a dirmi che era stato provocato e aggredito senza ragione da quattro ragazzini più piccoli di lui. Poi è arrivata l’ambulanza e lo hanno portato via».
Una scena agghiacciante che quella donna non dimenticherà mai più. «Una storia da arancia meccanica», la definisce: «Mi è sembrato di vivere Gomorra sulla mia pelle. Mi mancano le parole per descrivere quello che ho provato quando ho visto mio figlio ferito e insanguinato. No, non dovrebbe accadere mai a nessuno. E allora voglio lanciare un appello: sappiate che in giro ci sono quattro bestie criminali che potrebbero sgozzare chiunque. Bisogna fermarli a tutti i costi. Vi prego fatelo prima che sia troppo tardi altrimenti avrò difficoltà a continuare a credere nella giustizia e nella legalità. Così come ho sempre insegnato anche a mio figlio».
Diciassette anni, studente al quarto anno in uno dei licei scientifici più prestigiosi del centro storico, bravo a scuola, affezionato alla famiglia e senza grilli per la testa. Non beve, non fuma, niente baretti o altri luoghi frequentati dalla movida serale, di droghe poi manco a parlarne. «Arturo studia molto e il sabato pomeriggio esce solo i compagni di scuola che sono stati qui con me al pronto soccorso fino a quando non hanno saputo che ce l’avrebbe fatta». Parla con grande compostezza, la mamma, professionista come il papà del ragazzo, un «bravo ragazzo».
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