Yara. Massimo, selfie da macho, lavoro e lampade abbronzanti, così viveva il Bossetti

Yara. Massimo, selfie da macho, lavoro e lampade abbronzanti, così viveva il Bossetti
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Mercoledì 18 Giugno 2014, 02:55 - Ultimo aggiornamento: 02:56
Dal nostro inviato Renato Pezzini Brembate sopra - E alla fine si scoprì che «il Bossetti» era un volto conosciuto a Brembate Sopra. Non perché ci avesse vissuto da ragazzo, ma perché lo vedevano sovente in paese. Abitava altrove - Piana di Mapello è a un quarto d’ora di macchina - ma la cameriera del Loto Cafè gli ha servito spesso brioche e cappuccino, la fruttivendola di via Soave lo incrociava davanti al negozio, il benzinaio davanti alla palestra frequentata da Yara gli faceva il pieno di gasolio al camioncino. Sempre solo, gentile ma sbrigativo, buongiorno buonasera e via.



Cosa ci facesse lì adesso è facile immaginarlo. Si guardava intorno, studiava la situazione, andava a caccia della sua preda. Ma è vero o sono solo suggestioni? Mario, che ha un negozio di fotografia, ricorda perfino di aver veduto la Volvo del Bossetti parcheggiata in via don Giovanni Sala, la via«buia» che Yara percorreva per tornare a casa quando usciva dalla porta secondaria del centro sportivo.

A mettere insieme i ricordi e i «si dice» che da lunedì allagano la bergamasca emergono i ritratti di due persone incompatibili fra loro. Da una parte il padre di una famiglia modello a Mapello, premuroso con la bella moglie Marita, apprensivo coi tre figli, gran lavoratore che quando non è in cantiere si prende cura della casa o dei genitori, che si vede molto in parrocchia e mai al bar. Dall’altra il perdigiorno che si aggira per Brembate, che spende 100 euro al mese per farsi le lampade, che si fa un selfie vicino a un aliante millantando adrenaliniche esperienze ad alta quota.



E così, mentre i vicini di casa seguitano o mostrarsi increduli («ma siamo proprio sicuri che sia lui?»), gli altri cesellano con le loro memorie l’identikit di un personaggio sfuggente, ambiguo, a modo suo inquietante. Quando la commessa del negozio di fotografia di Brembate (a centro metri dalla villetta dei Gambirasio) ne ha visto l’immagine sul giornale è sobbalzata: «Era venuto cinque mesi fa a farsi delle foto per la carta d’identità. Impossibile dimenticarsi quegli occhi azzurri, avevano dentro qualcosa di forte». Sia come sia, fino al 2010 Giuseppe Bossetti a Brembate era di casa, anche se abitava lontano e aveva un cantiere aperto da tutt’altra parte. Chi lo ricorda meglio di tutti è Francesca, titolare del centro benessere Oltreoceano, un minuto a piedi dalla casa di Yara. «Era uno dei migliori clienti. Entrava, salutava, quindici minuti di doccia solare, undici euro. Anche due volte la settimana». Quando ha visto la foto in tv praticamente lo ha riconosciuto dall’abbronzatura. «Però negli ultimi anni veniva di rado».



Dopo la morte di Yara Il 26 novembre 2010 è il giorno in cui la giovane ginnasta scompare. A grandi linee è il periodo in cui le comparsate di Bossetti si diradano. Ma anche questa forse è solo una suggestione dettata dal senno di poi. Anche se Simone, benzinaio del chiosco Shell di fronte alla palestra, non ha dubbi: «Si fermava sovente da noi. Però da quando è venuto l’ultima volta a fare gasolio sono passati almeno tre anni». E così l’edicolante sull’altro lato della strada: «Comprava Eco e Gazzetta, ma poi non l’ho visto più».



Insomma, è come se dopo la morte della ragazzina Bossetti avesse deciso di mostrare di sé solo l’altro ritratto, quello del padre di famiglia che - prima a Terno d’Isola poi a Piana di Mapello - aveva tre soli punti di riferimento: casa, chiesa e lavoro. L’uomo che sopra l’uscio aveva messo un busto della Madonna, che faticava come un mulo per accumulare i soldi necessari a coronare il suo sogno: comprare una cascina in Val Seriana, ristrutturarla, e tornare a vivere lassù, lontano da tutto.



L'aliante In realtà, in giro per Brembate altri l’hanno notato anche recentemente. Egli stesso ne ha lasciato una prova quando - l’estate passata - ha pubblicato su facebook la foto della sua auto con dietro un carrello per il trasporto degli alianti. L’aliante non era suo (non ha mai volato), la macchina sì. Quella foto l’aveva scattata a poche decine di metri dall’ingresso del centro sportivo in cui Yara si allenava. Facile la battuta che adesso gira in paese: l’assassino torna sempre sul luogo del delitto. Ma anche questa per ora è solo una suggestione.
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