Schwazer cacciato per doping:
traditi dal bravo ragazzo

Alex Schwazer
di Piero Mei
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Martedì 7 Agosto 2012, 09:00 - Ultimo aggiornamento: 09:15
di Piero Mei

LONDRA - Bravo ragazzo e bravo carabiniere, almeno fino a ieri. Gli occhi chiari del montanaro, di quello che raccontava l’impegno, la fatica, il sacrificio e la passione sono i miei compagni di viaggio quotidiani, come i boschi e i sentieri della mia valle», da Calice, sette case e trentuno abitanti, dove vive Alex Schwazer; luogo da cartolina, terrazze di legno, legnaia piena, gerani rossi e la mucca al pascolo: il Mulino Bianco di lassù.



Un ragazzo d’altri tempi per lo sport praticato, un ragazzo moderno per l’approccio alla vita quotidiana: la marcia e il web a braccetto, tacco e punta e megabyte. Ha marciato da sempre, che nemmeno lui sa quanti chilometri ha fatto, il giro dell’Equatore.



Ha marciato lassù a Saluzzo, dove tutti lo fanno, anche i cinesi che hanno lasciato i templi di casa loro per sistemarsi in questo regno dei Damilano; ha marciato proprio a casa dei cinesi, a Pechino, fuori dal Nido d’Uccello, lo stadio in disarmo dei Giochi del 2008, dove si giocano solo partite di calcio italiane: lì, nel sole della calda estate continentale, in mezzo a finti alberi metallici, Alex si è regalato e ci ha regalato la medaglia d’oro della più faticosa e lunga delle gare nell’atletica, la 50 chilometri. Lì per la prima volta ha confessato quel che aveva nel cuore: la ragazza dei sogni di tanti, Carolina Kostner, la bella supercampionessa del ghiaccio.



Nasceva un sodalizio d’amore e di sport molto mediatizzato, pur se senza la grancassa del triangolo Marin-Pellegrini-Magnini. Pian piano Alex si staccava da Saluzzo e, ahilui e noi, anche dal successo. Perché dopo Pechino lo abbiamo visto afflosciarsi sulla Unter der Linden di Berlino mondiale alla Porta di Brandeburgo (mal di stomaco, colpa di una banana disse), e poi, l’anno dopo, a Barcellona europea, dove tentò di fare la 20 e la 50 chilometri, un esperimento assai difficile giacché richiedono preparazioni perfino diverse.



Lì si consumava la fine della sua storia di marcia con Saluzzo e adesso Alex s’affidava a Michele Didoni, che fu mondiale ai suoi tempi di quasi vent’anni fa (Goteborg ’95).



S’era visto poco o niente quest’anno, due garette, una a Latina e una per il minimo olimpico in Slovacchia; voleva riprovare: aveva detto una volta che il segreto della preparazione è «allenarsi, allenarsi, allenarsi»; e aveva aggiunto che il suo cuore sì, con le appena 28 pulsazioni, come Fausto Coppi, ma che «tutto sta nell’anima«. S’era preso le accuse degli Schutzen del Sud Tirolo: troppa italianità per quell’oro azzurro. Cercava strade diverse su cui marciare, la montagna altoatesina, la montagna bavarese. Ma poi ha abbandonato i suoi sentieri per le scorciatoie, le salite per le discese.
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