LO CHOC
Per il progetto era stato ingaggiato proprio Hitchcock, chiamato dal suo amico e socio Sidney Bernstein. Ma quando il regista di Psychovisionò il materiale a disposizione, rimase talmente scioccato da assentarsi dai Pinewood Studios (i mitici studi cinematografici fuori Londra) per un’intera settimana. Si sa che aveva dato istruzioni su come il prodotto finale avrebbe dovuto essere ma è probabile che da allora si fosse tenuto lontano dallo studio di montaggio.
INCOMPIUTO
Il film però non è mai stato terminato. I montatori e i produttori avevano impiegato molto più tempo del previsto a ultimarlo e a quel punto - siamo alla fine del ’45 - il clima politico era cambiato. «Dopo quasi un anno il bisogno di mostrare quel film era svanito. Gli alleati, a quel punto, decisero che era meglio non sbattere quelle immagini in faccia ai tedeschi perché non avrebbero aiutato il processo di ricostruzione del dopoguerra», spiega all’Independent Toby Haggith, curatore del dipartimento di ricerca del War Imperial museum di Londra, che sta ultimando il restauro digitale e il montaggio completo del film (dal titolo provvisorio Memory of the camps). Per la prima volta verrà mostrato integralmente alla tv inglese all’inizio del 2015 per ricordare i 70 della liberazione dell'Europa dal fascismo.
Dopo il 1945 e il disinteresse al progetto, cinque delle sei bobine del film erano state portate al museo e lì dimenticate. Fino al 1984, quando una versione incompleta del documentario era stata proiettata al festival di Berlino (e si trova anche su YouTube). La qualità era pessima e mancava la sesta pizza di pellicola. Il testo della narrazione era probabilmente stato scritto da Richard Crossman, futuro ministro laburista, in collaborazione con il giornalista australiano Colin Wills. Il commento vocale era stato affidato all'attore Trevor Howard.
Nella versione restaurata, che secondo Haggith è proprio quella voluta da Hitchcock, la voce narrante è stata reincisa da un altro attore.
RACCAPRICCIO
Le immagini, nella chiarezza della tecnologia digitale, sono raccapriccianti, crude, brutali. I cadaveri sono impilati uno sull'altro, altri disseminati nel campo, nell'indifferenza. In tanti si chiederanno se ci fosse davvero bisogno di un altro documentario sull'olocausto. Billy Wilder, che aveva diretto Death Mills, film americano sulle atrocità tedesche, pensava che queste immagini non avessero un valore di (ri)educazione. I tedeschi, diceva, messi di fronte a scene dell'olocausto, non riuscivano ad affrontarle, chiudevano gli occhi, se ne andavano dalla sala. Erano per loro impossibili da sopportare e quasi indecenti per le vittime e per le loro famiglie.
«È un video atroce, è vero - ammette Haggith - Eppure è lucido e possiede una profonda umanità ed empatia grazie a quei cameraman che, senza alcuna direzione, sono riusciti a catturare una testimonianza toccante. La visione lascia storditi, ma ci sono anche elementi di speranza».
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