Depuratore, il trucco delle denunce per coprire l'inquinamento. Le intercettazioni: «Qua è da arresto»

Depuratore, il trucco delle denunce per coprire l'inquinamento. Le intercettazioni: «Qua è da arresto»
di Pierfederico Pernarella
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Sabato 25 Settembre 2021, 08:24 - Ultimo aggiornamento: 26 Settembre, 08:28

Le segnalazioni alle autorità sugli scarichi anomali al depuratore del Cosilam di Villa Santa Lucia partivano soprattutto quando c'erano i controlli dei carabinieri forestali. Ma secondo gli inquirenti queste denunce servivano a coprire la reale portata del problema, per far apparire la società che gestiva l'impianto come vittima di imprecisate aziende, quando in realtà tutti sapevano benissimo la provenienza dei reflui inquinanti.

Scarichi inquinanti nel depuratore? Il gip: «Per la società "AeA" era una questione di soldi»

Emergono nuovi dettagli dall'ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip del Tribunale di Cassino, Vittoria Sodani, sulle accuse mosse al presidente della Aea Riccardo Bianchi e agli altri vertici della società che gestisce gli impianti di depurazione del Cosilam. Bianchi è ai domiciliari con l'accusa di inquinamento ambientale del fiume Rio Pioppeto, come l'amministratore Roberto Orasi e il responsabile dell'impianto di depurazione, Amedeo Rota.

Il sistema delle denunce incomplete

La società era costantemente alle prese con il problema delle immissioni di reflui irregolari che comportavano la formazione di fanghi, schiume e il superamento dei valori dei solidi sospesi, alluminio, solfiti e solfuri nelle acque del Rio Pioppeto.

Come difendersi? «Senti Robè dice il presidente Bianchi all'amministratore Orasi in una telefonata intercettata adesso facciamo la denuncia ai carabinieri sull'episodio di ieri, ma la denuncia la costruiamo in maniera tale che sia chiaro che questo è uno degli N episodi che ci stanno accadendo e nei limiti del possibile diremo che, tra gli altri, è accaduto questo giorno, quest'altro giorno e ci alleghiamo le comunicazioni».

Ma secondo il gip «i vertici della AeA sanno benissimo la provenienza dei reflui che intasano il depuratore», e «avrebbero potuto e dovuto attivarsi efficacemente, iniziando proprio dall'indicare nelle denunce chi effettua questi scarichi anomali».

Le "bombe atomiche", come le definisce uno degli indagati, provenivano dalla cartiera Reno De Medici da cui giungono l'81% dei reflui trattati nell'impianto di Villa Santa Lucia.

Le deroghe sui limiti

La Reno dei Medici, in base al contratto con il Cosilam, paga circa 3,9 milioni di euro per la depurazione e aveva ottenuto delle deroghe sui limiti di alcune sostanze. Deroghe che vengono definite «generose» dagli inquirenti e per queesto incidono negativamente sulla funzionalità del depuratore. Una situazione troppo spesso fuori controllo, tanto da far dire ad Amedeo Rota, responsabile dell'impianto: «Qua è da arresto», in riferimento all'invasione di schiuma che poteva raggiungere anche il mezzo metro di altezza.

D'altra parte le segnalazioni sui guasti e le inefficienze dell'impianto erano continue. Sempre Rota, il responsabile dell'impianto, ammette sconsolato: «Quante segnalazioni abbiamo fatto, ma chi ci responne!!!».
Oltre alle inefficienze di un impianto vecchio, di quelli costruiti con la cassa del mezzogiorno e per i quali è stato fatto molto poco, come ammette lo stesso presidente della AeA Riccardo Bianchi, c'era anche la questione a monte: la cartiera.

L'impotenza dei responsabili dell'impianto

«Non c'è la volontà di risolverlo il problema, perché si sa dove sta il problema», dice Amedeo Rota. Il responsabile dell'impianto di Villa Santa Lucia fa riferimento al «ricatto» occupazionale della cartiera: «Do lavoro a 1500 e faccio come mi pare».

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La Reno De Medici, in base al contratto con il Cosilam, dovrebbe depurare i reflui con un proprio impianto prima di inviarli a quello di Villa Santa Lucia ma il depuratore della Reno De Medici non funziona come dovrebbe sostiene Rota. Che aggiunge: «T'arrivano le bordate de fenoli e de solfiti e che fai, cioè quella è roba diciamo tossica per i fanghi dell'ossidazione».

Rota in un'altra circostanza si lamenta che «c'hanno messo una settimana a rispaccare tutto, che ce faccio mo io a st'impianto».

Una collega, Laura Paesano, anch'essa indagata, gli consiglia di avvertire Bianchi, il presidente dell'AeA: «Gli dici guarda che qua sta a succede l'inferno, perché non vi muovete per evitare che succeda? Io non ne posso più di sta storia, io non la posso mette a posto se gli altri continuano a scaricarla, allora chi c'ha il compito di fare pubbliche relazioni deve fare pressioni perché non scarichino merda».

Rota gli dà ragione e ammette che vi possa essere uno sforamento, ma non certo di 30/40 volte superiore come avviene. E La Paesano allora commenta: «È allucinante, quando ho visto quella cosa mi stavo sentendo male, perché quell'acqua fa schifo, è uno schifo quello che stanno concedendo». Inteso alla cartiera. Quello «schifo» finiva nel Rio Pioppeto.
 

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