Virman Cusenza

Troppe falle: lo Stato imponga la sua legge

Virman Cusenza
di Virman Cusenza
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Martedì 10 Marzo 2020, 00:01 - Ultimo aggiornamento: 11 Marzo, 07:32

Presidente Conte,
c’è una pericolosa falla nelle misure, apparentemente restrittive, appena varate dal governo per l’emergenza Coronavirus. Una smagliatura che crea le premesse per una clamorosa quanto irrazionale diffusione del contagio fuori dalle zone più a rischio. Perdonateci il passaggio da legulei: si tratta di una norma, prima semplicemente enunciata introducendo la sconcertante autocertificazione per chi si sposta dalle aree a rischio, e poi meglio dettagliata nell’ordinanza della Protezione civile che interpreta la presunta restrizione. Recita così: “Quanto previsto non vieta alle persone fisiche gli spostamenti su tutto il territorio nazionale per motivi di lavoro, di necessità o per motivi di salute, nonché lo svolgimento delle conseguenti attività”. Un brivido ci ha colto dopo averne letto il testo. “Necessità”. Ma chi stabilisce un concetto talmente labile? Almeno avessero scritto causa di forza maggiore. Ma tant’è. Poi è sopraggiunta l’indignazione.

Perché, con una simile formulazione, si amplia a maglia assai larga il novero di coloro che possono scorrazzare ad libitum anche in quelle zone con percentuali di contagiati ancora non allarmanti e quindi proprio per questo da preservare. Capiremmo la licenza a circolare per chi possa dimostrare necessità improrogabili e comprovate di lavoro, certificate dalle aziende: casi talmente rari da poter essere monitorati, questi sì, con facilità dalle autorità. Capiamo ovviamente il pendolarismo all’interno di zone non a rischio nel raggio di chilometri qualora soluzioni alternative come il telelavoro o simili non possano essere adottate. Ma tutto il resto, con la roulette russa dei permessi autocertificati, proprio no. Il rischio di esporre intere comunità, la salute pubblica nazionale, al potenziale contagio - basta scorrere qualunque tabella con l’esponenziale crescita dei positivi al test- sarebbe elevatissimo. E perciò intollerabile. Quali sono, del resto le sanzioni previste? L’efficacia repressiva di quelle ipotizzate è minima. Si minaccia il carcere, ma è platonico perché rischia di ridursi a una pena puramente nominale trattandosi di reato contravvenzionale. Non è questo il modo dissuasivo per chi trasgredisce. Bisogna garantire una stretta vera in nome della salute pubblica, non palliativi. Insomma, bloccate tutto. Ma bloccate davvero. 

Presidente Conte, ma come ha potuto il governo introdurre un simile varco in quelle norme che al contrario avrebbero dovuto essere restrittive per blindare la popolazione? C’è una sola spiegazione che poi è una certezza: Palazzo Chigi ha evidentemente ceduto alle pressioni di una o più Regioni tra quelle che hanno avuto per prime le zone rosse. Una levata di scudi figlia dei ripetuti casi in cui le Regioni sono all’opposizione dell’autorità centrale. Uno spettacolo disastroso che deve indurci, al di là del caso epidemia, a rivedere i poteri di questi enti locali non solo in materia sanitaria. Non possiamo assistere inermi ad una dittatura delle Regioni che esalti il particolarismo territoriale per soddisfare le pulsioni demagogiche di parte dei loro governanti. Non possiamo lasciare il Paese in mano a speculatori che pensino con un pensiero corto e profittatore solo a biechi interessi di bottega. Fino a prova contraria, abbiamo uno Stato che può e deve chiedere a tutti i cittadini di rispettare la legge, a qualunque latitudine. Ci viene in soccorso una bella intervista ad Alcide De Gasperi pubblicata il 7 luglio del 1952 su questo giornale. «Lo Stato forte - spiegava l’allora premier - non significa reazionario o arbitrario ma quello ove si rispetta e si fa rispettare la legge. La legge cioè la Costituzione e tutte le altre leggi che servono per applicarla. E la sua forza non è fisica bensì morale».

Fin qui De Gasperi, tanto per rinfrescare la memoria civile che oggi latita.
Ma il punto è assai più concreto, presidente Conte. Il governo non può emanare presunte leggi draconiane e poi affidarsi all’auto-responsabilità, fattore che sappiamo in Italia è sempre stato a rischio, giusto per usare un eufemismo. E’ l’ora della responsabilità, quella in cui si misurano uomini e istituzioni. Non può assecondare la deriva di grida manzoniane, sapendo poi la sorte che la peste e gli appestati ebbero a Milano quattro secoli fa. Insomma, il rischio è di far rientrare dalla porta ciò che è uscito dalla finestra.
Tutti noi cittadini siamo tenuti ad ubbidire, senza diserzioni, allo Stato.

Il quale facendo leva legittimamente su una salutare paura dell’epidemia da parte della popolazione deve agire senza deroghe ed eccezioni. Lo Stato faccia lo Stato e non abdichi alla propria autorità. Il governo, insomma, abbia un sussulto e agisca. Dimostri di poter esercitare questo controllo e ripristini il sano rapporto in cui le Regioni sono e devono essere subalterne. Batta un colpo e conforti un Paese in apprensione che attende di essere tutelato e protetto. Ha un solo modo per uscirne, rapido e necessario: correggere i decreti appena varati, tamponando la falla e non esponendo al pericolo la popolazione inerme. Non c’è altra via d’uscita. Ed è già tardi, molto tardi.

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