Romano Prodi
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I nostri conti e la Ue/ La fragilità italiana, un manuale di difesa

di Romano Prodi
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Domenica 11 Agosto 2019, 01:12
Quando si è di fronte ad una svolta politica come quella avvenuta in Italia corre l’obbligo di riflettere anche sul contesto economico nel quale questa svolta viene messa in atto e sulle conseguenze che verranno a prodursi nel campo dell’economia.
Partendo dal contesto mondiale è infatti certo che siamo in fase di rallentamento, anche se non si può certo parlare di crisi globale. Negli Stati Uniti si è passati dal 3,1% di crescita del Pil nel primo trimestre dell’anno in corso al 2,1% del secondo trimestre. Nulla di drammatico ma un segnale di malessere dovuto alle troppo prolungate incertezze della politica commerciale. Le stesse incertezze rallentano la crescita cinese che dovrebbe superare di poco il 6%. Pur essendo ancora rilevante è al minimo della sua storia recente. La Cina, inoltre, ha lanciato il rischioso messaggio di considerare la svalutazione del cambio come strumento di reazione di fronte al possibile aumento dei dazi americani. 
Assai più preoccupante è la congiuntura in Europa, dove la Germania vede crollare il suo export e calare vistosamente la sua produzione industriale, così come sta accadendo in Gran Bretagna dove l’economia è entrata in segno negativo, il che non è mai accaduto dal 2012. 
[Arrivando all’Italia la situazione è stabilmente la peggiore tra tutti i grandi paesi europei. Alla recessione, che dura ormai da un anno e che ci ha relegati ad essere gli ultimi della classe, la recente rottura politica ha aggiunto l’aumento del famigerato spread che aggrava il nostro bilancio pubblico di oltre un miliardo all’anno di interessi passivi e devasta le quotazioni delle nostre banche. Se lo spread non è per ora arrivato ai livelli del 2011 lo si deve all’ancora breve durata della crisi e alla politica degli stimoli monetari annunciati nello scorso giugno dalla Banca Centrale Europea. 
La Bce, da parte sua, non può fare più di tanto, dato che oltre il 60% dei titoli pubblici dell’Eurozona ha già un tasso di interesse negativo. I tassi di interesse italiani sono perciò un’eccezione di enorme portata, che diverrebbe insopportabile se ci distaccassimo ancora di più dalla politica europea. Il nostro governo, che nell’ultimo anno ci ha portato ai margini dell’Unione Europea, ci ha già provocato danni rilevanti non solo in termini di crescita e di occupazione ma ha ridotto ai minimi storici la nostra partecipazione alle decisioni europee che tanto influiscono sul futuro del nostro paese.
Le pur ripetute e insopportabili liti fra i due partiti di governo si sono trasformate in una vera crisi solo quando i 5Stelle hanno abbandonato il loro precedente sovranismo e hanno votato in favore di Ursula von der Leyen alla Presidenza della Commissione Europea. Che questa così importante decisione avrebbe innescato una crisi era una facile previsione su cui ci siamo soffermati su queste stesse pagine, anche se i tempi di messa in atto sono stati più rapidi delle nostre stesse previsioni.
La Lega ha di conseguenza deciso di aprire una campagna elettorale rimettendo in primo piano il suo vecchio tema di una politica economica antieuropea e rispolverando gli slogan contro l’Euro che erano stati messi da parte negli ultimi mesi di fronte al fallimento di tutte le politiche portate avanti in questa direzione da altri Paesi. I casi del Portogallo e della Grecia hanno infatti dimostrato che una politica di estraniazione dall’Ue porta solo svantaggi e che il perseguimento di questi obiettivi, conclusa l’euforia della campagna elettorale, provoca il disastro ed impone perciò radicali mutamenti, come è avvenuto in entrambi i Paesi. 
Non è detto che una piattaforma anti europea possa avere lo stesso seguito di opinione pubblica che ha avuto la campagna anti immigrati, anche perché le più accreditate analisi mostrano che il giudizio positivo nei confronti dell’euro sta aumentando e che sempre meno sono gli italiani che ne vorrebbero uscire.
È indubitabile che una campagna elettorale fondata su questi temi renderebbe ancora più precaria la nostra situazione economica e più difficile un nostro aggancio ai pur lenti ritmi di cammino delle altre economie europee. Un’Italia che deve ritrovare il livello degli investimenti e la qualità dell’innovazione necessarie per non soccombere difronte a una situazione economica così complessa non può mettere in dubbio la collocazione europea nella quale è destinata ad operare. Proprio le comuni difficoltà ci permetterebbero di acquistare la capacità di influenza che pure avevamo in passato. Solo in tale modo potremmo fare fronte ai comuni problemi che stiamo affrontando. 
Le difficoltà della Germania e le conseguenze negative della Brexit stanno infatti mutando le convinzioni di fondo e i processi decisionali che hanno fatto commettere tanti errori alla politica europea degli ultimi anni. Quello che non è stato possibile per la mancanza di una leadership illuminata è reso ora percorribile in conseguenza della necessità di superare insieme le comuni difficoltà.
Credo che si debba quindi fare ogni sforzo per evitare di aprire una campagna elettorale che, fatalmente, provocherebbe un nostro drammatico isolamento in termini di equilibri finanziari e di livelli di crescita e di occupazione. Tutti gli elementi che abbiamo a disposizione dimostrano che gli italiani, nella loro assoluta maggioranza, condividono il comune destino europeo. Credo perciò che il rafforzamento di questa consapevolezza sia lo strumento più idoneo per superare la presente crisi.
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