Americo Cicchetti

Riforma necessaria/ I medici di base, un’alternativa ai pronto soccorso

di Americo Cicchetti
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Giovedì 9 Settembre 2021, 00:10

A livello internazionale si stanno moltiplicando iniziative per analizzare e trarre insegnamenti dall’immane tragedia umana della pandemia da Covid. L’attenzione sembra concentrarsi su due ambiti di intervento. Il primo riguarda il rafforzamento della “preparatedeness” dei sistemi sanitari ad eventi pandemici, che purtroppo potrebbero ripetersi. Dall’altro, però, si è riconosciuta la strategicità del rafforzamento dei presidi di sanità pubblica e dell’assistenza primaria. 

Il medico di famiglia, in Italia, è uno dei pilastri di questo livello assistenziale, cruciale sia per affrontare situazioni pandemiche che per gestire le patologie croniche come il diabete, lo scompenso cardiaco, l’asma grave, la Bpco. Queste oggi riguardano il 40% della popolazione italiana, 24 milioni di persone. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) dedica attenzione a questo tema con l’identificazione di una strategia che vede in un “contenitore” fisico ed istituzionale – la “Casa della Comunità” – la primaria risposta al problema. 

Lo strumento appare funzionale all’obiettivo, ma non sufficiente, soprattutto in alcune Regioni. È indispensabile, infatti, agire in modo condiviso e razionale sul modello della medicina di famiglia: ovvero un esercito di oltre 54 mila medici e pediatri chiamati a rappresentare il punto di ingresso di 60 milioni di persone al sistema sanitario. 

La pandemia ha mostrato chiaramente i punti di forza e di debolezza di questo importante presidio della sanità pubblica nazionale. Molti medici di famiglia hanno combattuto in prima linea e qualcuno ci ha lasciato la vita. Altri, ahimè, non hanno contribuito come avrebbero potuto. Ma questa “variabilità” nasconde un problema sistemico. I medici di famiglia non sono dipendenti del Servizio sanitario nazionale (Ssn) e il contributo che forniscono al sistema dell’assistenza primaria dipende da disponibilità personale, competenza acquisita e modelli organizzativi di integrazione con gli altri livelli del sistema (vedi ospedali, pronti soccorso, ambulatori specialistici, ecc.) che in alcune regioni vanno certamente rivisti. 

Alcune questioni, però, sono fondamentali e vanno chiarite a livello nazionale: una riforma a questo punto è necessaria. Il primo riguarda la formazione. Quello di famiglia è l’unico medico “non specializzato” in un corso universitario ma formato (dopo la laurea in Medicina e chirurgia) attraverso scuole regionali governate dagli stessi organismi professionali di riferimento (sindacati e società scientifiche di categoria). 

Il risultato è un sistema di competenze professionali (e comportamentali) estremamente variabile e difficilmente certificabile nella qualità.

Una scuola di specializzazione universitaria in medicina di famiglia contribuirebbe ad eliminare la cesura oggi esistente tra medici ospedalieri territoriali, garantendo il reciproco riconoscimento professionale che è alla base di ogni forma di genuina cooperazione. 

Un secondo aspetto riguarda le modalità di lavoro. I medici di famiglia operano spesso da soli e, in queste condizioni, non possono garantire una risposta 24 ore su 24. La conseguenza è che in situazioni di bisogno (ma non di urgenza), il medico di famiglia non è percepito come una risposta alternativa ma ugualmente efficace a quella del pronto soccorso ospedaliero. 
È possibile, nelle situazioni territoriali che lo consentono, creare forme collaborative stabili tra più medici in grado di assicurare un contatto tempestivo tra cittadino e medico 24 ore su 24 e 7 giorni su 7? Questo risolverebbe per lo meno l’intasamento dei pronto soccorso e incrementerebbe la percezione di fiducia dei cittadini verso questo servizio così essenziale, soprattutto per i malati cronici.

Un terzo ed ultimo aspetto riguarda i dati. L’autonomia che caratterizza l’operato del medico di famiglia si riscontra nella possibilità di scegliere sistemi informativi e di archiviazione di dati differenti. L’enorme patrimonio di informazioni anagrafiche e sanitarie che globalmente sono presenti nei database dei medici di famiglia italiani non è integrato né integrabile in questo momento. 

La conseguenza è l’impossibilità di sfruttare pienamente le opportunità che provengono dalla digitalizzazione dei dati sanitari che si traducono, grazie a big data analytics e dalle soluzioni di intelligenza artificiale, in salute e risparmi. 

Il Pnrr prevede investimenti importanti per l’Ssn e per il suo “territorio” ma senza una riforma strutturale dell’assistenza primaria e del ruolo del medico di famiglia, l’investimento potrebbe non generare i risultati sperati.
 

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