Carlo Nordio
Carlo Nordio

Il caso Moretti/ La sconfitta dei tribunali e la scelta del teorema

di Carlo Nordio
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Domenica 3 Luglio 2022, 00:09

A distanza di tredici anni dalla tragedia di Viareggio, dove 32 persone rimasero uccise e molte altre ferite per il deragliamento di un treno carico di gpl, la Corte d’Appello di Firenze ha condannato l’amministratore delegato di Fs Mauro Moretti a cinque anni di reclusione per disastro ferroviario ed incendio colposi. Pene più o meno gravi sono state irrogate ad altri coimputati. Tre di questi sono stati assolti. Si tratta del quarto processo, dopo che una precedente sentenza aveva confermato la condanna di primo grado, ed era stata annullata a sua volta da una decisione della Cassazione. La Corte di Firenze depositerà le motivazioni tra 90 giorni. Il difensore di Moretti ha già annunciato un nuovo ricorso alla Corte Suprema, e non è escluso che vi sia un altro annullamento con un nuovo giudizio di rinvio. Se il lettore non ha già perso il filo di questa vicenda, avrà comunque perso la fiducia nella giustizia. Perché una sentenza che intervenga, e nemmeno in modo definitivo, dopo tanto tempo, è comunque iniqua, ed è sintomatica di un sistema fallito.

Ma le perplessità che nascono da questa storia non riguardano solo quello che già Amleto chiamava “The law’s delay”, il ritardo della legge, ma la sua stessa applicazione: sulla quale ci permettiamo due considerazioni. 
La prima. Ripercorrendo a ritroso l’inferno delle vittime e il calvario degli imputati si ha l’impressione che per rimediare al primo si sia voluto insistere sul secondo, e che, a fronte di un dramma così cupo, si volesse e si dovesse comunque trovare qualche responsabile penale. E’ una reazione consueta soprattutto in Italia. E non solo da parte dei parenti dei deceduti, la cui emotività è comprensibile anche quando diventa ostinata, ma della stessa opinione pubblica, come se la sentenza del giudice potesse mitigare la piaga apertasi con tanto dolore individuale e collettivo. La cronaca ha riferito che nell’aula della Corte, mentre Moretti pronunciava un’appassionata autodifesa, il pubblico vociferante ha tenuto un comportamento scorretto, provocando il richiamo del presidente. Sono scene meno allarmanti di quelle delle tricoteuses parigine e dei tribunali del popolo, ma sono comunque sgradevoli in un’aula dove il magistrato dovrebbe giudicare “frigido pacatoque animo”, senza condizionamenti psicologici o ambientali. Nessuno pensa che la Corte fiorentina ne sia stata influenzata. Ma nessuno dubita che sarebbe stato meglio se l’atmosfera fosse stata diversa. 

La seconda. I reati addebitati all’ing.

Moretti sono tutti di natura colposa. Per chi è digiuno di giuridichese spieghiamo che si tratta di eventi non voluti da chi li ha - o li avrebbe – provocati, ma che dipendono dalla sua imprudenza, negligenza, imperizia o violazione di norme. Occorre quindi dimostrare che il disastro, con la conseguente strage, è avvenuto perché l’imputato aveva consapevolmente violato, o trascurato, proprio le norme dettate per impedirlo. Si tratta di una prova difficile, che talvolta sconfina in quella che si chiama responsabilità oggettiva: tu sei colpevole solo perché occupavi quel posto. E’ un concetto che confligge con il principio che la responsabilità penale è personale e non può discendere automaticamente dall’occupazione di una carica. Altrimenti ogni imprenditore pubblico o privato dovrebbe esser processato e condannato ogni volta che nella sua azienda accade un incidente grave. Se così fosse stato, la gran parte degli industriali italiani sarebbe finita in galera. E se per fortuna questo non è avvenuto, è proprio perché il codice esclude l’automatismo tra la carica e l’imputazione.

Ora, sempre secondo la cronaca, l’ex amministratore delle Ferrovie ha dimostrato che durante il suo mandato si è sempre prodigato per garantire la massima sicurezza dei trasporti, e che gli incidenti sono diminuiti quasi del 90 per cento. Questo ovviamente non esclude che possa esser stato responsabile di quello di Viareggio, ma certo impone, o avrebbe dovuto imporre, un’analisi rigorosa delle sue direttive specifiche relative alle condizioni in cui il disastro si è verificato. E se fino ad ora ci son voluti tredici anni e quattro processi per arrivare a una motivazione che sarà depositata tra tre mesi, e che verrà comunque ridiscussa in Cassazione, possiamo concludere che non è e non sarà un compito facile. 

Rimane intanto l’amara conclusione, ormai purtroppo sempre più frequente, che da queste indagini e da questi processi escono tutti sconfitti. Le parti offese, che attendono ancora i risarcimenti; gli imputati, che attendono la loro sorte, e più in generale la nostra Giustizia, che attende una riforma che non arriva mai. Ricordiamo che essa è rappresentata come una dea bendata, che regge la bilancia e la spada: la prima dovrebbe rappresentare il suo equilibrio, e la seconda la sua efficienza. Quanto alla benda, dovrebbe rappresentare la sua imparzialità. Ma forse è un pietoso rimedio per impedirle di vedere il suo stato deplorevole. 

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