Cassese: «Dico sì ai test per i magistrati, sono un aiuto nella selezione delle toghe»

L’ex giudice della Consulta: i magistrati non devono fare i legislatori né i politici

Cassese: «Dico sì ai test per i magistrati, sono un aiuto nella selezione delle toghe»
di Mario Ajello
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Venerdì 5 Aprile 2024, 23:46 - Ultimo aggiornamento: 6 Aprile, 11:46

Professor Cassese, è un principio liberale a difesa dei cittadini o è un torto di lesa maestà alla magistratura quello secondo cui vanno valutate le capacità di giudizio dei giudici?
«La giustizia è un servizio reso dallo Stato alla società. Più accurata è la selezione di magistrati giudicanti e di magistrati dell’accusa, meglio si serve la società. Per quello che si sa, il decreto legislativo adottato dal governo prevede che, dopo le prove scritte ed orali, vi sia una prova psicoattitudinale che sarà determinata dopo aver sentito il Consiglio superiore della magistratura». 

Ha letto l’intervista sul nostro giornale al ministro Carlo Nordio? E che cosa ne pensa?
«Fornisce elementi utili a valutare la decisione e indica linee d’azione condivisibili.

Ritengo che bisognerebbe insistere sulla necessità di una giustizia più sollecita e sulla garanzia di un’autentica indipendenza dell’ordine giudiziario, indipendenza che oggi non c’è, oltre che sulla necessità che i magistrati facciano i magistrati e non gli amministratori, i legislatori, i politici». 

I detrattori dei test psico-attitudinali, nel campo della magistratura e in quello della politica, trattano il problema come se fosse spuntato adesso e d’improvviso, come una sorta di capriccio del governo. Non esiste una dottrina da cui scaturisce e su cui si poggia?
«Non c’è bisogno di molta dottrina per capire che chi opera giudicando altre persone, in un conflitto, qualunque esso sia, o tra due condòmini, o tra una persona accusata di aver commesso un crimine e la potestà punitiva dello Stato, deve dar prova, ben più di altri funzionari pubblici, di equilibrio, distacco, imparzialità. I giudici debbono applicare le leggi, e queste ultime sono come le partiture musicali. Così come le partiture musicali contengono solo segni, quelle che chiamiamo note, non suoni, ed hanno bisogno dell’interprete perché noi possiamo sentire i suoni, nello stesso modo, le leggi dettano prescrizioni che hanno bisogno del giudice per diventare comandi concreti. Questo è il motivo per il quale siamo tutti interessati ad ascoltare la voce del diritto interpretata dal migliore degli esecutori».

C’è da chiedersi, nello specifico e in generale: quanto è giusta la giustizia italiana?
«Innanzitutto, una giustizia che arriva in ritardo non è mai giusta. Quindi, la giustizia deve essere sollecita. In secondo luogo, una persona che amministra la giustizia non deve essere solo indipendente, deve essere anche percepito e valutato come indipendente. Terzo: numero di appelli e casi di errori giudiziari sono troppo numerosi. Capitolo separato è quello delle procure, della loro indipendenza, della eccessiva discrezionalità, dell’eccessiva pubblicità, dell’eccessiva intrusione nella vita privata dei cittadini, dell’eccessivo ricorso alla custodia cautelare». 

Come dovrebbe funzionare nel concreto il test per un giudice?
«Consiglierei di studiare l’applicazione che ne è stata fatta ai magistrati giudicanti e alle procure fuori d’Italia. Suggerirei anche di rendere pubblici i test per ottenere, come si fa In Inghilterra, una sorta di autovalutazione da parte degli aspiranti magistrati». 

Nel disegno governativo, sarà il Csm a gestire queste prove. Giusto o sbagliato che sia così?
«Mi pare giusto, così come sarà giusto che il Consiglio superiore della magistratura applichi le norme in modo rigoroso, sia nella determinazione dei criteri, sia nello stabilire le modalità di somministrazione dei test, sia nella complessiva procedura di valutazione». 

È assolutamente immaginabile che la prima reazione dell’Anm, quando sarà in vigore la nuova legge, sarà lo sciopero. Come evitare invece il muro contro muro?
«Questo è un problema di carattere più generale. Complessivamente, il corpo dei magistrati è oggi composto di persone capaci, valenti, preparate, ma i suoi organi associativi e, di conseguenza, il Consiglio superiore della magistratura hanno dato un’impronta sindacale alla loro attività. A questo si è aggiunto il culto dell’autogoverno una parola che non è usata nella Costituzione con riferimento alla magistratura. Si aggiunga che coloro che parlano a nome dei magistrati si considerano in una cittadella dalla quale si può solo uscire, ma nessuno può entrare: voglio dire che sono diventati strenui difensori dello “status quo”, come se la giustizia fosse perfetta, non perfettibile». 

Quanto la impressiona che, stando ai sondaggi, due italiani su tre non si fidano della magistratura e quando è cominciata secondo lei questa deriva?
«Il fenomeno ha molte cause. La prima è la quantità di esternazioni, per lo più partigiane, che induce i cittadini alla sfiducia. La seconda è la grande quantità - si tratta di milioni - di cause pendenti, risultato della lentezza dell’azione dell’ordine giudiziario, mentre centinaia di magistrati si dedicano ad altre funzioni, come - ad esempio - quella di amministratori. La terza è la politicizzazione endogena che si è prodotta e che non era prevista dalla Costituzione: questa aveva stabilito esclusivamente scudi per evitare quella esogena, cioè dall’esterno, senza considerare che la politicizzazione avrebbe potuto venire dall’interno». 

Nordio nell’intervista al Messaggero è tornato fortemente a insistere su separazione delle carriere e superamento dell’obbligatorietà dell’azione penale. Lei come la pensa?
«Sono proposte che si discutono da decenni, ormai mature, che dovrebbero essere solo tradotte in pratica».

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