Vittorio Emanuele Parsi
Vittorio Emanuele Parsi

Divisioni interne/ La forza dell’Europa solo se resta unita

di Vittorio Emanuele Parsi
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Martedì 31 Maggio 2022, 00:52

Speriamo che l’accordo tra i 27 Stati-membri sull’embargo al petrolio russo e sul tetto al prezzo di acquisto del gas – magari in extremis – si trovi, e che regga fino al momento della sua effettiva implementazione. Ma quella della coesione interna all’Unione, alla Nato e al fronte delle democrazie sta diventando una scommessa sempre più impegnativa. Una cosa dovrebbe però essere chiara fin da subito: le conseguenze del suo sfaldamento sarebbero disastrose per l’esito della guerra e per la stessa sopravvivenza dell’Unione Europea e dell’Alleanza Atlantica. Del resto, nelle settimane che seguirono l’aggressione russa all’Ucraina, fu proprio la compattezza europea e occidentale – mobilitata dalla tenace e coraggiosa resistenza della leadership e del popolo ucraini – a sorprendere Vladimir Putin, costringendolo a una guerra che non si era preparato a combattere, illudendosi di vincerla semplicemente con la brutalità delle minacce.

Ciò che è in gioco in Ucraina sono la credibilità e la sopravvivenza di quell’assetto politico e istituzionale che rappresenta sia la cornice al cui interno è stato pazientemente dipinto il quadro delle relazioni pacifiche e cooperative europee e atlantiche, sia il prodotto della progressiva trasformazione dell’ambiente in cui, nel secondo dopoguerra, le democrazie si presentavano come una sparuta minoranza. In quasi ottant’anni il nostro continente ha cambiato la grammatica e la sintassi della politica vigente al suo interno. Proprio l’Europa, infatti, ha costituito il secondo fondamentale pilastro – insieme agli Stati Uniti e ai loro alleati democratici nel Pacifico – di quell’ordine liberale che ha trasformato l’orizzonte e le prospettive del sistema internazionale: rappresentando un poderoso magnete di attrazione per i popoli e che vivevano e vivono ai suoi mobili confini.

Non sempre siamo stati all’altezza di questo ruolo. Abbiamo impiegato decenni per comprendere la portata delle sfide, delle opportunità e delle responsabilità che “essere europei” comportava. Essere europei in un modo nuovo, radicalmente diverso da quello cui tradizionalmente eravamo abituati e che ci aveva costruito nel corso dei secoli e portati a un passo dalla distruzione nella prima metà del ‘900: la competizione per la supremazia politico militare, il ricorso sistematico all’utilizzo della forza per piegare la volontà dei nostri vicini, l’imperialismo nei confronti dei più deboli e degli inermi. Siamo dovuti arrivare a scatenare due guerre mondiali e contare sugli Stati Uniti – prima come arsenale delle democrazie e poi come principale forza militare – per avere ragione delle minacce dei totalitarismi nazi-fascista e comunista.

A partire dalla fine della Guerra Fredda, però, abbiamo progressivamente adottato una rotta e un’andatura sempre meno attente all’inclusione economica, politica e sociale del crescente numero di cittadini e cittadine che non riuscivano a stare al passo con un cambiamento la cui logica veniva colpevolmente data per scontata, minimizzando i costi umani che comportava e comporta.

La sottovalutazione della centralità della ricerca del consenso, della protezione dell’equità delle regole del gioco, del contrasto alle tendenze oligarchiche e destrutturanti causate dall’iperglobalizzazione ci ha indebolito all’interno e reso più vulnerabili verso le minacce esterne. Al punto che demagoghi più o meno prezzolati, avventurieri politici delle più varie specie, e schietti avversari delle società aperte e delle loro istituzioni democratiche, hanno gioco facile nel sostenere che, in fondo, la vittoria della Russia in questa guerra cambierebbe poco per noi, mentre il sostegno all’Ucraina sarebbe troppo costoso.

È vero: le nostre democrazie sono troppo poco inclusive, le nostre economie sono troppo inique, le nostre società sono troppo connotate dal privilegio. E dobbiamo impegnare molta più energia e molte più risorse per cambiare – rapidamente – questo stato di cose. Ma la proposta e le realizzazioni che provengono dalla Russia di Putin in cosa migliorerebbero la situazione? Basta guardare a quanta democrazia, equità, inclusività e uguaglianza ci siano nella sua Russia. Un livello così basso da rischiare di farci dimenticare tutte le (enormi) imperfezioni che abbiamo lasciato sfigurassero le nostre società aperte. La vittoria di Putin peggiorerebbe ulteriormente un quadro già preoccupante, privandoci persino di quella conquista pagata a così caro prezzo proprio da noi europei, nel corso della nostra storia: il bando della guerra di aggressione e di conquista dall’orizzonte nostro, dei nostri figli e delle nostre figlie.

Ecco perché la guerra scatenata da Putin contro l’Ucraina è la più grande minaccia esistenziale che le democrazie si trovano a fronteggiare dalla fine della Seconda guerra mondiale, maggiore persino di quella costituita dall’Unione Sovietica ai tempi della Guerra fredda, durante la quale nemmeno Stalin si sognò di modificare con la forza i confini internazionalmente stabiliti. Ecco perché restare uniti è così decisivo oggi, per la salvezza dell’Ucraina e per la nostra.

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