Mario Ajello
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Le notti magiche/ Anche l’Italia del pallone torna traino per il Pil

di Mario Ajello
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Domenica 13 Giugno 2021, 00:02

Nell’Italia bar sport tutti contenti per la vittoria degli azzurri. Ma anche il G7 in Cornovaglia sembra diventato, all’indomani del successo degli azzurri nell’esordio degli Europei allo stadio Olimpico, un bar sport all’italiana per via dei leader che si avvicinano in queste ore a Draghi e gli fanno: «Complimenti, Mario, siete fortissimi».
Speriamo di restarlo. Quel che è certo è che l’Italia di Draghi e Mancini sembra funzionare. Sta mostrando di saper essere un Paese desideroso e capace di rilanciarsi, non annichilito dalle sofferenze partite nel colmo della pandemia e non impoverito nelle sue spinte motivazionali. E in certi casi anche in quelle bancarie, se si pensa che gli italiani costretti a casa per mesi senza uscire la sera o fare shopping o viaggi hanno accumulato negli istituti di credito 180 miliardi di risparmi in più rispetto al 2019 e ora si riparte anche da questi sperando che diano crescita alla crescita. E comunque, l’Italia dei gemelli diversi ma neanche tanto, il mister e il premier, Mancio e SuperMario, è quella che passa dalla resilienza all’offensiva e che, tra calcio e rispettabilità  istituzionale e internazionale, si mette sulla strada del rilancio. Ricominciando dal pallone ma non solo e in ogni caso giova ricordare - a guisa d’esempio anche se ogni stagione funziona a modo suo - che dopo la vittoria azzurra ai Mondiali del 1982 grazie a quell’effetto crebbero l’export e il made in Italy. 

Ecco, il calcio è calcio, ma come traino può funzionare anche questo. Insieme al Pil che sta riprendendo a salire, i turisti che iniziano a tornare nel Belpaese, gli hotel che almeno a Roma registrano (grazie agli Europei) più 30 per cento di ospiti e infatti servono, tra l’altro, tanti grandi eventi per rimettere in moto l’economia. Non eccitarsi frettolosamente, visto che la risalita sarà lunga e i benefici del Pnrr si vedranno con il tempo. Ma l’orgoglio di potercela fare intersecando i campi di gioco, unendo cioè l’aspetto psicologico della spinta patriottica comprensiva del calcio con quello pratico e coincidente del bisogno di tornare a crescere in tutte le attività, funge da doping prezioso, è un aiuto non da poco. 

IL PRESIDENTE
Osservare il presidente Mattarella palpitante l’altra sera in tribuna, mentre gli azzurri sbattevano contro il muro della difesa turca, per poi oltrepassarla per tre volte, era uno spettacolo che travalicava l’aspetto sportivo.

Raccontava di un Paese coriaceo. Lo stesso che Draghi ha rappresentato nel vertice di Carbis Bay, dove i colleghi stranieri Merkel compresa - secondo le cronache - si sono volentieri fatti indicare da lui la strada verso più investimenti e meno sussidi per un’espansione generale. Il calcio al pallone della sfiducia nazionale, in un Paese troppo abituato all’autogol fino al recente passato, è dunque un buon inizio, da implementare con tutti i mezzi e in ogni ambito. 

BANDIERE APPESE
E si vuole credere che quelle bandiere tricolore spuntate all’indomani del successo della squadra di Mancini nelle vie di Roma e non solo, appese ai palazzi, vendute nelle edicole e negli spacci, ricomparse nel paesaggio urbano come all’inizio della pandemia quando si trattava di stare uniti per resistere sperando che «andrà tutto bene», valgano ben oltre il recinto del campo calcistico. Rinascere, come insegna il Rinascimento, è un’idea italiana per eccellenza e in questa idea ci sta dentro tutto. La ripartenza è un termine sia di uso calcistico sia da lessico politico. Gli apocalittici dicono che, una volta passata la pandemia, ci sarà la rivincita dei bassi istinti. E invece ci può essere, e i segni si vedono nella coppia Mancini-Draghi anche se non basta un duo e la scossa ha bisogno di essere collettiva, il ritorno della qualità come motore della ripartenza. Dal mister e dal premier non ci si aspetta un miracolo calato dal cielo, ma frutto di impegno e sapienza. Che sia la conquista della coppa europea o il buon esito del Recovery Fund. Ovviamente, le due cose non sono  equivalenti, la seconda batte di gran lunga la prima. Ma la vittoria (incrociamo le dita) di un torneo da parte degli azzurri, che manca ormai da molto tempo (forse dovremmo fare come gli ateniesi che eressero una statua di Nike senza ali perché non lasciasse la città), avrebbe un effetto rigenerante di grande portata. 

FACCE UN PO’ COSÌ
Mancini ha quella faccia un po’ così, di chi non è mai completamente entusiasta. Lo stesso tipo di volto, anche se più sorridente, ha Draghi. Sono entrambi tipi anti-retorici. Forse rispecchiano un’Italia che, forgiata dalla paura e dal dolore, un po’ è cambiata o almeno prova a dare una nuova immagine di sé, competente e performante, che non vuole nascondersi di sentirsi forte. E se lo è davvero, lo diranno le prossime partite.

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