Paolo Pombeni
Paolo Pombeni

Opposizione cieca/La politica del «No» che ignora i temi reali

di Paolo Pombeni
5 Minuti di Lettura
Lunedì 12 Dicembre 2022, 01:51 - Ultimo aggiornamento: 21:52

Il confronto è l’anima di ogni democrazia, lo scontro e la zuffa fanno la fortuna della politica spettacolo. Banale, ma è così, lo stiamo vedendo bene in questo Paese dove da tempo il confronto si è rattrappito (per usare un eufemismo) e le zuffe dominano la cosiddetta mediatizzazione del dibattito politico.
La cosa curiosa è che molto spesso non ci si scontra perché una parte nega all’altra l’esistenza di un problema che è stato indicato come da risolvere, ma semplicemente perché si contrappongono, più che altro per partito preso, diverse soluzioni ad una questione sulla cui importanza quasi tutti concordano. Il che naturalmente finisce di solito per essere un ottimo modo per lasciare tutto irrisolto.


Prendiamo, per un esempio macroscopico, la questione della giustizia nel sistema fiscale. Nessuno può negare, almeno esplicitamente, che funzioni più che male: tassazione molto squilibrata, quasi una giungla, evasione altissima, con quella dell’Iva che ci vede detenere un non invidiabile primato. Si sta discutendo come mettere ordine in questo caos, come fare realmente sì che la tassazione gravi in maniera ragionevole su tutti rendendo difficile la vita agli evasori? No, ci si accapiglia sui limiti al contante, sulla possibilità o meno per gli esercenti di rifiutare i pagamenti elettronici. Il senso comune ci direbbe semplicemente che il problema non è come si paga, ma che ci sia la garanzia di una registrazione dell’avvenuto pagamento, scontrino o fattura che sia. Se c’è quello non si evade, se non c’è le possibilità del “nero” si moltiplicano.


Passiamo per fare un altro esempio alla questione giustizia. Che il sistema funzioni male è giudizio condiviso: eccesso di norme mal congegnate, procedure farraginose, spettacolarizzazione delle inchieste, e avanti con l’elenco. Se un ministro, in questo caso Nordio, dice di voler mettere mano alla faccenda parte l’artiglieria delle fazioni politiche contrarie. L’osservatore disincantato osserva che più o meno tutti i ministri della giustizia hanno provato, a volte ragionevolmente a volte a capocchia, a mettere mano alle storture del sistema e sempre non si è cavato il ragno dal suo buco, perché tutto finiva in una zuffa pseudo ideologica in cui a nessuno importava trovare il famoso “punto di caduta” che poteva condurre ad una soluzione condivisa. Per ciascuno il moto sembra sempre essere: “o come la vedo io, o non se ne fa niente”.


Di mettere al lavoro qualcuno dei famosi “tavoli” in cui si lavora per trovare soluzioni largamente condivise non si usa più parlare. Eppure nelle discussioni degli studiosi sta ritrovando uno spazio la tesi della “democrazia negoziale”, che naturalmente ai signori delle zuffe mediatiche appare solo come “inciucio”, “compromesso al ribasso”, mercimonio indegno.


Per non cadere anche noi nel vezzo di presentare tutto sempre a tinte oscure, ci permettiamo di segnalare che forse qualche segnale di ragionevolezza sembra emergere dalle nebbie.

Si dice che sulla questione della riforma che vorrebbe introdurre il semipresidenzialismo più o meno alla francese maturi l’idea di proporre l’alternativa di una specie di cancellierato con elezione diretta ed esplicita del primo ministro, questa volta davvero titolare di appropriati poteri di indirizzo (possibilità di chiedere le elezioni anticipate, sfiducia costruttiva, potere di nomina e di dismissione dei suoi ministri). Questo preserverebbe l’attuale configurazione del presidente della Repubblica come autorità super partes, garante e interprete dell’unità nazionale e moderatore della dialettica politica nel quadro costituzionale.


Non sappiamo se davvero ci sia una volontà di procedere su questa strada, ma sarebbe un buon esempio della possibilità di un confronto politico che eliminando l’aspetto populista e plebiscitario dell’elezione popolare dell’inquilino del Quirinale apre ad affrontare il tema di una democrazia capace di decisioni che si sottraggano al ricatto di lotte di fazione che le condizionano.


Citiamo questo caso, sperando che non sia il solito ballon d’essai destinato a sgonfiarsi, per esemplificare come sulle varie questioni delicate che interessano la politica italiana si debba puntare a rimettere in piedi confronti abbandonando zuffe e sceneggiate che non portano a nulla, al più all’incremento dell’astensionismo, elettorale e non solo, come perdita di fiducia nella politica. Peraltro non si tratterebbe neppure di operare una rivoluzione mai vista. La stabilizzazione del nostro sistema repubblicano fu in buona parte dovuta a quella che da un certo momento in poi è stata definita, magari con un certo disprezzo, democrazia consociativa. Si basava sull’opera di confronto che sulle leggi e decisioni importanti (a volte, in verità, anche su alcune meno nobili) avveniva nelle commissioni parlamentari. Lì, pur fra partiti che si combattevano aspramente, si negoziava, si trovavano mediazioni, nonostante poi la retorica ufficiale restasse quella della dura contrapposizione, che però via via andò ammorbidendosi fino ad arrivare ad un equilibrio di riconoscimenti reciproci.


È fuor di luogo chiedere che non si perda memoria di quella storia? È ben curioso che in una fase come l’attuale in cui si è arrivati a quella “alternanza” destra/sinistra, che in anni lontani venne presentata come un sistema perfetto purtroppo non applicabile in Italia, non si riesca a capire che non è tempo di scontri tra guelfi e ghibellini, ma semmai di contrapposizioni trasversali fra forze di governo e pulsioni demagogico-populiste. I molti problemi che il nostro Paese ha non si risolvono né a colpi di slogan, né inseguendo le più diverse spinte a mantenere i tanti “nidi” che in lunghi decenni confusi sono stati costruiti a proprio vantaggio dai vari segmenti della società. Davvero in questo caso quel che ci vuole sarebbe il tanto vituperato “ben altro”: ma per realizzarlo, non per usarlo come mezzo per lasciare tutto più o meno nella bella (?) confusione esistente.

© RIPRODUZIONE RISERVATA