Per oltre mezzo milione di giovani questi sono i giorni dell’esame di maturità. Si conclude un ciclo di formazione – i tredici anni dalle elementari alla scuola secondaria superiore – ritenuto ormai indispensabile per affrontare, con almeno competenze di base, un’epoca complessa e tecnologica. Accanto all’obbligo scolastico fino ai sedici anni, che ha valore di legge, si è da tempo affiancato l’obbligo formativo che prevede il diritto/dovere di conseguire, entro i diciotto anni, un titolo di istruzione secondaria superiore o una qualifica professionale. E per questo, il 90% dei giovani della cosiddetta generazione Z affronta questa impegnativa prova.
Fra i sogni che il grande psicoanalista Sigmund Freud considerava ricorrenti, ovvero molto comuni e diffusi, c’era anche quello di rivivere, in età avanzata, l’esame di maturità, immaginare di doverlo rifare, riprovare l’ansia dell’essere giudicato. E’ un’esperienza in cui è facile riconoscersi. Per molte delle passate generazioni affrontare la maturità ha rappresentato il primo ostacolo importante da superare nel passaggio alla vita adulta. Un momento indimenticabile in cui si mischiano la paura di non essere adeguati o sufficientemente preparati per quell’appuntamento, alla piacevole sensazione di complicità con i compagni di scuola in un momento significativo della propria vita. Ma c’è oggi da chiedersi, in un contesto completamente cambiato, cosa rappresenti questo esame per le giovani generazioni e quale ricordo rimarrà nel loro percorso di vita. Per decenni, ma qui torniamo davvero molto indietro, la maturità era sintesi degli anni di studio passati nella scuola superiore. Poi lo sport preferito di tanti ministri dell’istruzione è stato quello di cambiare continuamente le modalità per effettuare le prove.
Trasformazioni forse necessarie per adeguare la maturità ai tempi, ma che certo hanno contribuito a disorientare docenti e studenti, riducendo, inoltre, la ritualità di questa significativa scadenza. Il rilievo sociale e comunicativo della maturità è comunque rimasto immutato rappresentando uno dei momenti in cui la scuola gode dell’attenzione dell’opinione pubblica. Con un po’ di retorica potremmo affermare che l’esame di maturità è il primo impegnativo ostacolo da superare, di una serie di ulteriori passaggi che inevitabilmente si ripresenteranno lungo tutto l’arco della vita.
La società liquida riduce le verifiche formali o i concorsi, ma amplifica la necessità di saper scegliere. Nell’era digitale con lo strapotere dei social è facile ci sia un’attrazione verso soluzioni che consentono di ottenere il massimo con il minimo sforzo. Meccanismi di cui sanno appropriarsi i nativi digitali sembrano fare miracoli per ottenere il successo con abilità e poca fatica. Salvo poi ritornare traumaticamente alla realtà, purtroppo talvolta anche tragicamente. Il punto su cui si interrogano in molti, specie nel mondo della scuola, è come colmare la distanza che si è creata fra valori socialmente sostenibili e la realtà immersiva dei media digitali in cui vivono le nuovissime generazioni. Riproporre la severità della scuola e l’autorità dei genitori è una ricetta, magari anche congruente, ma che finora sembra particolarmente difficile da applicare. Gli adulti possono aiutare i giovani sollecitandoli a decifrare in profondità le diverse facce del nostro tempo, proponendo, con l’esempio, valori positivi, evitando l’indifferenza, sanzionando, quando è il caso, i comportamenti dannosi e irresponsabili. La frattura generazionale è molto forte e non è facile trovare soluzioni definitive. Forse un equilibrio fra autorevolezza e affetto, severità e comprensione può mantenere viva una relazione inter-generazionale indispensabile perché la situazione non peggiori.