Vittorio Emanuele Parsi
Vittorio Emanuele Parsi

Esercito comune/ La sicurezza diventa un affare Ue

di Vittorio Emanuele Parsi
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Martedì 1 Marzo 2022, 00:09

Che per Putin l’eventuale successo tattico costituito da una rapida invasione dell’Ucraina sarebbe stato estremamente difficile da convertire in un successo strategico stabile e duraturo era una facile profezia. Che i tempi del rovesciamento delle fortune del Cremlino sarebbero stati così repentini, invece, costituisce, una sorpresa. L’ampiezza e l’irreversibilità del fallimento russo è clamorosamente evidente nella inedita decisione europea di inviare aiuti militari a un Paese in guerra e nell’acquisita consapevolezza che i tempi della “Europa potenza civile” sono definitivamente alle spalle. La pretestuosità dell’attacco contro Kiev ha sancito la necessità ormai improcrastinabile per l’Unione Europea – e per i suoi Stati-membri – di dotarsi di uno strumento militare convenzionale adeguato al presente livello della minaccia. È un passo decisivo per la crescita di statura politica dell’Unione e per la possibilità di relegare i sovranismi nella bacheca delle elaborazioni ideologiche arcaiche e inadeguate ai tempi.

Questa volta è il recupero della dimensione della sicurezza collettiva contro le vere invasioni – non quelle fantasticate dei migranti – a fornire argomenti per un’unione più ampia e profonda.
Credo sia evidente che il contesto della sicurezza europea sia cambiato, così come è cambiato quello della stessa sicurezza globale, considerando la statura politica, militare ed economica degli attori direttamente o indirettamente coinvolti (la Russia, l’Europa nelle sue molteplici configurazioni, gli Stati Uniti, più sullo sfondo anche la Cina). Comunque vada a finire la guerra ucraina, non si tornerà allo status quo ante e neppure a una nuova edizione della Guerra Fredda. Le differenze rispetto ad allora sono principalmente due: 1) l’interdipendenza economico-finanziaria globale che, seppur danneggiata dalla pandemia e dalla guerra, rimane e spiega la dolorosa efficacia delle sanzioni alle quali Putin ha reagito con l’unico argomento a cui affida la sua visione internazionale, quello della forza militare, evocando l’armageddon nucleare; 2) il fatto che in questo caso non siamo di fronte a un’azione militare (diretta o indiretta) operata all’interno di sfere di influenza reciprocamente riconosciute per impedire la defezione di uno “Stato-cliente” (come in Guatemala nel 1954 o in Ungheria nel 1956, in Cecoslovacchia nel 1968 o in Cile nel 1973 o in Polonia nel 1981), ma assistiamo invece all’uso della forza per portare sotto il proprio controllo un Paese che non lo è più da tempo.

Per nulla paradossalmente, è la dimensione “ideale” (in questo senso “ideologica”) del confronto che, seppure non nettamente stagliata come nella stagione della lotta tra le democrazie e i totalitarismi, appare destinata a rinforzarsi: in questo coinvolgendo anche la Cina e l’Indo-Pacifico, dal punto di vista geografico, e implicando una ricerca di nuovi equilibri interni rispetto alle forze di mercato che riguarderà tutti i diversi sistemi politici, comprese le autocrazie.

Per noi europei, la necessità impellente di migliorare significativamente la nostra capacità militare implicherà saper spendere di più e meglio per la difesa comune. Ma dovremo anche individuare dove trovare le risorse per poterlo fare. In termini concreti, questo potrebbe offrire una nuova ragione contro il rigorismo recessivo dei vari patti di stabilità e vincoli di bilancio, e comportare una scelta a favore di una certa quantità di inflazione, allo scopo di alleviare il peso di un debito pubblico altrimenti insostenibile. Sul piano politico e culturale, la guerra ucraina (2022) potrebbe costituire l’inizio del definitivo superamento della lunga e devastante fase neoliberale della nostra concezione dell’economia di mercato e della democrazia, dopo la disastrosa gestione della crisi del debito sovrano (2014), e la pandemia (2020-2022) e consentire il varo di un nuovo e più inclusivo patto sociale europeo (negli e tra gli Stati-membri), dove la dimensione complessa e multiforme della sicurezza (economica, politica, militare e sociale) sia compresa e perseguita nella sua indivisibilità.

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