Mario Ajello
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Due anni di guerra/ I nostri interessi e quella tentazione di mollare Kiev

di Mario Ajello
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Sabato 27 Gennaio 2024, 00:11

Non si tratta si sventolare retoricamente la bandiera della fermezza e del teniamo la schiena dritta contro gli aggressori dell’Ucraina. C’è in gioco molto di più. Va capito sempre meglio, a quasi due anni dall’inizio della guerra putiniana, cominciata il 24 febbraio 2022 e al momento più favorevole a chi l’ha scatenata piuttosto che a chi sta cercando di resistere e ai Paesi che appoggiano quella resistenza, che sta a noi fare della nostra causa un tutt’uno con la causa ucraina. Anzitutto inviando armi adeguate, come il nostro governo non smette di dire e cerca di fare, in un conflitto che è tanto degli ucraini quanto dell’Europa, anche se si cerca, in gran parte del popolo della sinistra, in qualche spicchio minoritario della destra e presso il cattolicesimo specie nella versione catto-comunista, di negare questo collegamento.


Se l’Ucraina dovesse soccombere, con lei crollerebbe l’intero edificio della pace, collasserebbe quell’ordine che è stato per l’Europa negli ultimi decenni condizione e motore dello sviluppo, su cui c’è ovviamente moltissimo di più da fare sia a livello economico e di competitività globale sia a livello politico sia a livello militare. Il venire meno di questa coscienza, arrendendosi nella guerra russo-ucraina, renderebbe impossibile la continuazione di questo percorso.  A quasi due anni dall’inizio del conflitto, la morsa dei bombardamenti su Kiev e sulle altre città ucraine si sta inasprendo. L’opinione pubblica dei Paesi occidentali, Italia compresa, è sempre più stanca di sostenere una causa che appare lontana e insignificante, oltre che dispendiosa. Il Pd sembra reggere sempre meno sul fronte della fermezza, incalzata dai 5 Stelle e dal loro pseudo-pacifismo con occhio rivolto all’incasso elettorale delle Europee.


E non solo scarseggiano le armi in Ucraina per fronteggiare la nuova avanzata russa dopo il fallimento della controffensiva estiva dell’esercito di Kiev, ma scarseggia la capacità di sostenere Zelensky, sempre più considerato in ogni platea internazionale una sorta di scocciatore, e di stare al passo con le decisioni che si erano prese in sede Ue.  La scorsa primavera l’Unione europea aveva promesso di fornire un milione di munizioni calibro 155mm all’Ucraina entro la fine del marzo 2024. A due mesi dalla scadenza, sono stati forniti soltanto 300 mila proiettili e 3.300 missili. Al fronte, a scarseggiare sono le munizioni per l’artiglieria, e sta diminuendo nelle città martoriate l’efficacia dei sistemi di contraerea a causa della penuria di razzi forniti dagli occidentali. Con i loro ritardi, è una guerra che gli alleati dell’Ucraina stanno permettendo a Putin di vincere. Anche se su questo non si possono fare rimostranze al governo italiano, che - pur conoscendo l’impopolarità di questa azione presso i nostri concittadini, ma guai ad essere follower e non leader degli umori popolari - ha ben presente l’importanza della questione: se l’Ucraina dovesse cadere, l’ordine mondiale liberale sarebbe gravemente minacciato ovunque.

A cominciare dalla Lettonia che Putin ha già detto di aver messo nel mirino come prossima preda. 


L’Ucraina è insomma uno spartiacque che non si può non vedere in tutta la sua evidenza. E’ lo spartiacque tra la cedevolezza ossia la rinuncia all’idea occidentale e libera dei rapporti tra gli Stati (verrebbe da dire: con il cosiddetto “spirito di Monaco” del 1938 abbiamo già dato e non è andata affatto bene praticando l’appeasement e il buonismo arrendevole e impaurito) e il farsi carico, anche drammaticamente, dell’esigenza dei cittadini europei di non rinunciare ai principi di non aggressione, della loro necessità di vivere nella pace, di sviluppare traffici e commerci su un mercato aperto e pacificato, di non vedere un Paese limitrofo alla Ue ridotto a cumulo di macerie e di volerlo ricostruire con le nostre imprese e le nostre capacità coinvolgendolo in una comunità che ha tanto da fare e non può abbandonare nessuna nazione a chi la vuole soggiogare. 
La fatica della guerra è comprensibile. Ma lo è allo stesso tempo il bisogno di arrivare a una pace giusta e rispettosa dei diritti dei popoli e degli interessi geopolitici, non arrendevole o purchessia. L’Ucraina vuole stare in Occidente e Putin la vuole confinare fuori dall’Occidente. E farla sua. Ma come ha scritto tanti anni fa Milan Kundera, nel suo splendido «Un Occidente prigioniero», ripubblicato di recente da Adelphi, «i popoli centroeuropei sono inseparabili dalla storia europea, senza di lei non potrebbero esistere, ma di questo storia sono purtroppo solo il rovescio, le vittime, gli outsider». 


Insomma da due anni che c’è la guerra, è cambiato tutto. E non in meglio (basti pensare che Biden non riesce a varare come vorrebbe nuovi aiuti a Kiev). Si sta retrocedendo dalla convinzione che se si perde l’Ucraina si perde tutto, si finirà per lasciare mano libera a Putin su ogni scacchiere (Medio Oriente compreso) e soprattutto si apre la strada a un grave rovesciamento di senso con conseguenze pratiche che pagheranno le generazioni successive e anche tutti quei giovani che al momento sono molto attratti dal pacifismo. Il rovesciamento secondo cui pacifista significa imbelle, e che essere disarmati e indifesi possa funzionare di fronte a chi aggredisce e non si fa scrupoli a usare le stragi. Andrebbe reso onore a chi nel nostro Parlamento, a destra (Meloni ha fatto della fedeltà atlantica il principale impegno in politica estera) e in una parte della sinistra, a quasi due anni dall’inizio della guerra tiene il punto. Ma nel mainstream non sembra affatto facile tenerlo. E’ più facile e conveniente, anche a fini elettorali, praticare il conformismo del “sono affari degli ucraini”. No, sono affari nostri e dei nostri figli.
 

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