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Governo, nuovo corso/Il cambio di marcia non più rinviabile

Articolo riservato agli abbonati
27 Febbraio 2021 (Lettura 5 minuti)

Chiusa (con qualche difficoltà) la partita dei sottosegretari, completata la squadra di governo, ci si attende ora la svolta promessa e annunciata. Con gli italiani preoccupati, più che dalla crisi economica, dall’andamento della pandemia. Il piano vaccinale stenta a decollare e ormai s’è capito che ci aspettano, almeno sino a Pasqua, forme più o meno severe di confinamento domiciliare obbligatorio. Settimane, forse mesi  fatte nuovamente di aperture e chiusure, di blocchi e allentamenti, di divieti e deroghe, esattamente come nell’anno che abbiamo alle spalle. Una strategia di convivenza col virus che non ha funzionato. Si proseguirà su questa strada o si stanno già studiando altre soluzioni e altri approcci?

Nella rete – per quel che valgono gli umori che vi si trovano espressi – circolano malizie secondo le quali, al dunque, questo nuovo governo altro non sarebbe che un Conte Ter con Draghi al posto di Conte e allargato nella sua base parlamentare. Un’esagerazione polemica visto che Draghi da solo sembrerebbe fare la differenza. D’altro canto, sono in molti a chiedersi se quello appena nato sia davvero, scorrendo tutti i nomi che lo compongono, il “governo dei migliori”.

Il problema in realtà non è tanto di persone, alcune di primissimo piano, altre assai stimabili, altre così così. Ma di azione politica, di scelte, di programmi. E naturalmente di tempi, mai come oggi risorsa scarsa e preziosa visto che Draghi – secondo i più ottimisti – dovrebbe cambiare l’Italia di sempre in soli due anni. Perché chiedergli l’impossibile invece del concretamente fattibile, perché illuderci che possa toccare a un uomo solo la responsabilità d’intervenire sul destino di milioni di italiani che di cambiare, in cuor loro, non hanno probabilmente alcuna voglia? E proprio pensando al concretamente fattibile e al concretamente necessario la domanda di queste ore, frutto certamente di uno stato d’animo collettivo irrequieto e nervoso, è dunque la seguente: quando toccheremo con mano il nuovo corso?

In questi giorni, per indicare l’inizio (finalmente!) di una stagione politica nuova, quella che già si definisce l’epoca post-casaliniana, si è molto parlato del diverso approccio comunicativo che Draghi ha immediatamente adottato e imposto. Niente interviste, nessuna comparsata televisiva all’ora di cena, basta con gli annunci da banditore fieristico, solo comunicazioni ufficiali date ai cittadini in modo chiaro e con largo anticipo. E’ già molto, per un Paese con i nervi a fior di pelle, ma è ancora poco, per un Paese che – finita l’epoca delle chiacchiere – vuole risposte concrete. A partire dal sottoscritto: ho sessant’anni, quando (ragionevolmente) verrò vaccinato? Moltiplicate questa domanda per quaranta milioni e capirete quale brutto clima si respira e quante attese rischiano di venire frustrate se si dovesse continuare a perdere tempo.

Intendiamoci, la politica è anche stile, ma naturalmente non può esaurirsi nelle forme – grossolane o educate – che è in grado di esprimere chi l’incarna. Allo stile si deve accompagnare la sostanza, cioè le realizzazioni pratiche. Naturalmente senza fretta, che è spesso una cattiva consigliera. Ma evitando anche di eccedere in lentezza, in equilibrismi o – visto che siamo in Italia – in trasformismi. La continuità istituzionale suggerita dal Quirinale è un conto. Ma attenzione al continuismo politico-burocratico-carrieristico, antica specialità del ceto dirigente italico. Questo governo all’insegna del “(quasi) tutti dentro” è potuto nascere solo perché una personalità come Mario Draghi l’ha reso possibile. È un governo d’emergenza per l’emergenza: costituzionalmente ineccepibile, politicamente discutibile nella misura in cui ha sostanzialmente annullato la dialettica tra partiti. La sua eccezionalità potrà essere giustificata, anche nei futuri libri di storia, solo a misura degli effetti positivi e dei cambiamenti reali che riuscirà a produrre.

Il problema è che intorno a Draghi, a ciò che potrà e vorrà fare, si sono create attese salvifiche comprensibili visto il momento drammatico che stiamo vivendo, ma incompatibili con un’idea moderna della politica. Nei commenti pubblici al suo incarico s’è andati oltre l’esaltazione del leaderismo (di un leader peraltro non-politico), per sfociare nell’adulazione in alcuni casi sciocca e servile o, peggio, nel miracolismo. Ma così non si aiuta lui a lavorare tranquillo, nello spirito di servizio alla nazione che lo ha portato ad una scelta che molti per ragioni personali escludevano, e non si costringono i partiti che lo sostengono a fare il loro dovere. Il patto provvisorio che è stato sottoscritto sotto l’occhio vigile del Capo dello Stato è d’altronde chiaro: Draghi mette a disposizione la sua credibilità, le sue competenze e la sua rete di relazioni internazionali (s’è visto al recente vertice europeo quanto la sua parola conti); i partiti, sperando ne sia rimasto almeno un poco, il loro senso dello Stato.

E’ chiaro che ci è stato chiesto di bere assai controvoglia una medicina amara per il nostro bene collettivo. Sarebbe tragico, per restare in quest’immagine medica, se la medicina si rivelasse, alla fine del trattamento, un intruglio da cerusico. Di quelli che non curano e magari peggiorano la salute del paziente.
Aspettiamo dunque da questo governo un colpo, un qualche tangibile segnale, ora che tutte le caselle sono andate al loro posto. Qualcosa insomma che ci convinca che tutta questa ammuina politica ha avuto un senso e può servire a qualcosa. E se anche non risolveremo d’incanto tutti i nostri storici malanni – la giustizia ingiustizia, la burocrazia lenta, l’ambiente maltrattato, i giovani senza lavoro, il Sud sempre in ritardo, la corruzione diffusa, le iniquità di genere, l’evasione fiscale, la criminalità organizzata, le infrastrutture obsolete, un sistema politico impallato (troppa roba, chi può essere tanto ingenuo da aspettarsi un miracolo?), – almeno la soddisfazione di vedere affrontati con impegno e raziocinio – e possibilmente risolti – i nostri problemi più urgenti.

I vaccini, per favore. Un sistema sanitario da riorganizzare al più presto. Aiuti economici a chi non ce la fa e sta perdendo tutto. I ragazzi nuovamente a scuola. La ripresa di una qualche socialità – tornare in relativa sicurezza nei cinema, nei teatri, nei musei, negli spazi all’aperto – prima che s’impazzisca tutti. Non so voi, ma a me già questo basterebbe come titolo di legittimità e di merito per questo governo che non mi piace granché ma al quale – come tantissimi italiani – ho deciso di credere.

Ultimo aggiornamento: 22:36 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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