Alessandro Campi
Alessandro Campi

Oltre il sovranismo/ L’Italia e il cambio di passo in Europa

di Alessandro Campi
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Venerdì 4 Novembre 2022, 00:01

Sin dalla sua nascita nel lontano 1994, sul centrodestra pesa il crisma dell’inaffidabilità in materia di politica estera e di rapporti internazionali. Si tratta del risultato convergente di tre fattori che nel tempo si sono variamente sommati: l’oggettiva novità rappresentata da questa coalizione e dai suoi principali esponenti a partire da Berlusconi; le scelte eccentriche e spesso ondivaghe che ne hanno guidato l’azione e le prese di posizione pubbliche (ad esempio sulle tematiche europee); il discredito alimentato dai suoi avversari della sinistra in ogni possibile cancelleria o consesso globale.

Giorgia Meloni ha ereditato questo grumo di diffidenze, nel suo caso accentuate dal modo un po’ troppo disinvolto con cui – al pari di Matteo Salvini – si è mossa sino a tempi recenti sul terreno delicatissimo degli affari in senso lato esteri. Della prima circolano interviste assai polemiche nei confronti degli oligarchi di Bruxelles, accusati di voler affamare i popoli del Vecchio continente, e si ricordano i legami ideologici sin troppo stretti con i partiti ultra-nazionalisti dell’Est. Al secondo si rimproverano l’infatuazione quasi infantile per il modello putinista e le crociate propagandistiche contro la moneta unica.

Ma la storia cambia il suo corso, spesso in modo brusco, e con essa cambiano la politica e i suoi attori. 
Prima la pandemia, poi la guerra scatenata dalla Russia contro l’Ucraina, hanno dimostrato che l’Europa è capace di agire in modo solidale e unitario quando i suoi interessi vitali e quelli dei suoi cittadini vengono minacciati. La difficoltà ad affrontare con soluzioni condivise l’emergenza energetica sembrerebbe una smentita a quest’affermazione, ma è vero il contrario: più la crisi s’aggrava, per famiglie e imprese, più appare chiaro che serve una soluzione europea, che prima o poi dovrà necessariamente arrivare. Ma esattamente la stessa cosa potrebbe dirsi con riferimento ad altri temi che solo in una dimensione cooperativa possono essere affrontati e parzialmente risolti: la lotta al terrorismo globale, la salvaguardia ambientale, la gestione dei flussi migratori, il contrasto alle povertà, la sicurezza militare, ecc.

Che gli interessi nazionali si difendono meglio in Europa, dando battaglia all’interno delle sue istituzioni, alla fine l’hanno capito anche i nazional-populisti nelle loro diverse espressioni. Specie ora che, nel caso dell’Italia, hanno assunto un ruolo diretto di governo grazie ad una chiara vittoria elettorale. Ma non è facile, si sostiene, rimuovere i pregiudizi e le diffidenze trentennali che la destra italiana ha accumulato su di sé. Tanto meno cambiare pelle e visione anche solo per convenienza e tatticismo. Sono in molti dunque a scommettere sulle difficoltà insormontabili che questo governo incontrerà proprio nel rapporto con i suoi diversi partner internazionali, a partire da quelli europei. Non bastano, si sostiene ancora, professioni dogmatiche di fedeltà atlantista per acquisire una credibilità sulla scena del mondo che è sempre stata lasca.

Da qui la grande sfida di Giorgia Meloni, che proprio ieri ha fatto il suo atteso esordio ufficiale in Europa (se si esclude l’antipasto dell’incontro informale ma denso di implicazioni con Macron a Roma). Alla ricerca di un difficile, forse impossibile, accreditamento o alla ricerca, per molti versi ambiziosa, di un ruolo per l’Italia che si vorrebbe nuovo e più autorevole rispetto al recente passato? La politica estera, che secondo molti osservatori potrebbe essere per quest’esecutivo un terreno minato, persino letale, rischia di trasformarsi in un fattore di novità politica che potrebbe alla fine rafforzarlo anche sul fronte interno. I primi segnali, in effetti, sembrano andare in questa direzione, al di là di certe facili e spesso strumentali ricostruzioni di cronaca, che puntano a descrivere l’Italia come isolata e sempre in condizione da sorvegliato speciale.

Prendiamo il recentissimo cambiamento di registro sulla questione degli immigrati che, attraverso trafficanti di uomini e Ong spesso oggettivamente colluse con questi ultimi, usano il Mediterraneo come canale d’ingresso illegale verso l’Europa.

All’invito pressante della Germania a farsi carico delle persone attualmente imbarcate sulla nave Humanity 1, battente bandiera tedesca, l’Italia ha risposto chiedendo a Berlino informazioni dettagliate sulla situazione a bordo. Sembrerebbe una schermaglia politico-diplomatica colpevolmente combattuta a danno di uomini, donne e bambini in grave stato di sofferenza. In realtà è bastato uno scambio di note ufficiali per mettere a nudo l’ipocrisia (intrisa di falso umanitarismo e vero egoismo) dietro la quale alcuni Paesi europei continuano a trincerarsi in materia di sbarchi e accoglienza. Non si tratta, come si dice frettolosamente, di scontrarsi con l’Europa. Ma di permettere all’Italia un controllo sugli ingressi nel proprio territorio esattamente come quello che operano da sempre, con un rigore persino eccessivo, stati come la Spagna o la Francia. 

Un cambio di passo, dunque. Come quello che l’Italia ha annunciato anche in vista di un appuntamento importante quale la 27ma Conferenza delle parti sul clima (Cop 27) che si aprirà in Egitto nei prossimi giorni. In quella sede il governo Meloni potrebbe fare pressione, stando alle anticipazioni apparse ieri proprio sul “Messaggero”, affinché si rivedano alla luce del nuovo quadro internazionale gli impegni sottoscritti da diversi Paesi europei, Italia inclusa, in occasione del precedente summit di Glasgow (ottobre-novembre 2021) e aventi come obiettivo il perseguimento della cosiddetta neutralità climatica entro il 2050 attraverso, in particolare, la drastica riduzione dei combustibili d’origine fossile. Un impegno fattosi irrealistico con l’aggravarsi della crisi energetica e la conseguente necessità, in cui si trova l’intera Europa, di rafforzare la sua indipendenza strategica dal gas e dal petrolio provenienti da Paesi che, come già si è visto con la Russia, non offrono grandi garanzie di affidabilità politica.

Anche in questo caso non si tratta di mettersi contro l’Europa, nel nome di un malinteso sovranismo, ma di provare a far cambiare posizione all’Europa per ragioni di realismo e necessità, seguendo una via politico-negoziale non sbattendo (peraltro per finta) i pugni sul tavolo. E tutto ciò in una fase in cui a minare l’unità d’azione dell’Unione non sono tanto i governi cosiddetti sovranisti (dalla Polonia all’Italia) quanto piuttosto clamorosamente quella Germania che in passato ne è stata l’indiscussa guida politica.

Lo ha confermato da ultimo la decisione del Cancelliere Olaf Scholz di recarsi in viaggio politico e d’affari a Pechino: il primo leader occidentale a sbarcare in Cina dopo la pandemia, a pochi giorni dalla plebiscitaria riconferma al potere di Xi Jinping. Per smorzare le critiche, in patria e all’estero, ha detto di andarci “da europeo, non da tedesco”, ma il fatto che sia partito con una folta delegazione di imprenditori tedeschi la dice lunga sul senso di questa missione, che per l’Europa in quanto tale non promette nulla di buono. 
A proposito di sovranismo, per concludere. A ben vedere, nella sua vaghezza polemica esso può essere tre cose assai diverse tra loro. Un’inutile forma di retorica e propaganda che al dunque nasconde un atteggiamento puramente difensivo e di chiusura nei confronti del mondo. Una politica aggressiva nel solco del vecchio nazionalismo ideologico, come tale pericoloso dal punto di vista degli equilibri internazionali, specie se accompagnata da spinte rivendicative di natura territoriale. Infine, un modo per declinare una politica estera più attiva e dinamica, più rispondente agli interessi nazionali del proprio Paese pur nel rispetto formale e sostanziale delle reti d’alleanze e degli impegni storicamente ereditati.

Quando Giorgia Meloni rivendica per sé e per l’Italia un diverso protagonismo politico in Europa e un rapporto con i propri alleati nel segno della lealtà ma senza alcuna forma di subordinazione politica o di timore reverenziale, sembrerebbe abbracciare una visione del sovranismo, per così dire, del terzo tipo: non l’Italia contro tutti, ma l’Italia che negozia alla pari con tutti i suoi partner e alleati. Messa così, non sembra una brutta notizia.

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