Paolo Pombeni
Paolo Pombeni

Tesi contrapposte/La battaglia sul clima da combattere insieme

di Paolo Pombeni
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Venerdì 28 Luglio 2023, 00:14 - Ultimo aggiornamento: 22:41

Si può parlare di questione ambientale senza farsi intrappolare nella diatriba che – con le parole di un tempo – potremmo chiamare fra apocalittici e integrati? Si può e si deve, perché il problema è serio, ma proprio per questo non si risolve con bei gesti più o meno simbolici e con proclami sulla rivoluzione a cui dobbiamo aprire in fretta le porte.


Il tema è complesso, non è vero che tutti gli scienziati condividano le stesse analisi anche se quasi tutti riconoscono che il problema va affrontato, e per di più non è che anche in questo campo valga la regola per cui quel che pensa la maggioranza è la verità (ricordiamoci di Galileo). 
Continuare con le esasperazioni dialettiche non porta soluzioni, ma ritarda l’affrontare i problemi. Poiché si tratta di modificare un tipo di organizzazione dell’economia e della società, cioè di fare davvero una rivoluzione culturale, ci vogliono realismo, gradualismo e soprattutto un lavoro costante per rendere condiviso e sopportabile il cambiamento.
Il primo lavoro da fare è dunque impegnarsi in una analisi ravvicinata dei problemi e delle soluzioni possibili nel breve termine, senza con questo escludere ulteriori passi per arrivare a metodologie più efficaci. Sventolare bandierine intrise di utopia  serve solo a dare armi a chi vuol mantenere tutto com’è, perché sarà facile prospettare alla gente l’impossibilità di cambiare vita. 


Certo, se da domani tutti smettessimo di usare mezzi di trasporto a motore, se non riscaldassimo più le case con combustibili fossili, e avanti di questo passo, la situazione climatica migliorerebbe non poco (anche se non sappiamo quanto tempo occorrerebbe per tornare ad una specie di “stato di natura”). 


Ma poiché anche solo istintivamente ci si rende conto che ciò non è possibile, soprattutto considerando che così dovrebbe comportarsi almeno mezzo mondo, ecco che la tentazione è di lasciar perdere e non fare nulla.
Si tratta invece di continuare a lavorare sulla modifica di tutto ciò che produce inquinamento. Anche chi non è uno scienziato sa che le automobili di oggi inquinano molto meno di quelle di 30 anni fa, che abbiamo inventato la plastica biodegradabile, che le abitazioni sono costruite ora in modo da essere attrezzate in maniera più adatta a contenere alcuni consumi energetici. 


Si è lavorato e si lavora per produrre elettricità sfruttando il vento e la luce solare: si fanno progressi nel settore di queste tecnologie e ci si aspettano ulteriori avanzamenti. La nostra attenzione alla salvaguardia dell’ambiente è aumentata, la sensibilità per avere contesti urbani con un buon impiego di spazi “verdi” è in crescita.
Fare leva su questi percorsi, informare maggiormente l’opinione pubblica sugli impegni che affrontano le comunità scientifiche sostenute dalle autorità con i dovuti finanziamenti è essenziale per far crescere non gli acritici entusiasmi per questa o quella rivoluzione dietro l’angolo, ma il sostegno alle ricerche di soluzioni praticabili per problemi il cui peso è largamente percepito.


Conosciamo bene le due obiezioni che gli apocalittici fanno a queste impostazioni. La prima è che non abbiamo il tempo a disposizione per permetterci un riformismo gradualista. 
Gli unici che per mestiere studiano (o dovrebbero studiare) il fattore tempo, cioè gli storici, possono facilmente ricordare che questo è un eterno mantra che è presente nello sviluppo delle civiltà: sempre esistono componenti che cercano di forzare l’opinione pubblica ad aderire alle loro leadership minacciando la catastrofe incombente, la fine del mondo più o meno prossima. 


E non solo non ha mai funzionato (per nostra fortuna), ma non ha neppure dato un contributo al progresso.
La seconda obiezione è che il gradualismo nelle soluzioni tecniche bloccherebbe la risoluzione reale dei problemi. Facciamo automobili che inquinano meno e non andremo avanti a costruire quelle che non inquinano, sicché alla fine saremo al classico pannicello caldo.
Anche in questo caso l’esperienza mostra il contrario: ogni risultato che si trova per rispondere in qualche modo ad una sfida stimola a trovare soluzioni migliori.
Insomma: il problema non è dibattere se dobbiamo cambiare tutto o se va poi bene così. È condividere lo sforzo per cambiare le cose, nei tempi e nei modi possibili, con la consapevolezza che, con errori e limitazioni, lo si sta già facendo.

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