Mario Ajello
Mario Ajello

Campagna estiva/ Se le battute in libertà sostituiscono i programmi

di Mario Ajello
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Martedì 26 Luglio 2022, 00:07

Mood parolaio, effetto pollaio. Non comincia bene questa campagna elettorale. Un po’ perché è a corto di idee, e per ora si punta sullo stanco riciclo dei vecchi programmi quando l’Italia è cambiata più in questi tre anni che negli ultimi dieci o quindici, e un po’ perché dovendo concentrare tutto - mai esistito un voto-lampo come questo e per di più tra estate e autunno - si deve spararla grossa, non c’è tempo per ragionare sulle parole, occorre impressionare i cittadini in villeggiatura e già abbondantemente annoiati dall’abituale politico e dal bla bla partitico. 
Non c’è tempo, non c’è voglia e non c’è capacità di alzare il livello e dunque siamo da subito alla gara a chi la spara più forte, nella speranza - sbagliatissima - che gli italiani distratti li mobiliti così e nella convinzione - fallace - che fai più male al nemico insultandolo piuttosto che superandolo con le tue proposte e la tua credibilità, ammesso che ci siano. E allora ecco la caricature: Giggino ‘a cartelletta, il nano, la nera (ma non ci si stanca mai, dentro e fuori d’Italia, di usare contro la Meloni il ricatto di un passato che non le riguarda?), i neri (gli immigrati che ci starebbero invadendo), i traditori (quello ci ha tradito, quell’altro ci tradirà), i vendicatori (torno io e sbaraglio tutti, come se Dibba fosse il Conte di Montecristo), gli uomini forti e laboriosi contro i radical chic scansafatiche (“Io sudo e Letta no”, è il grido di battaglia di Salvini) e via così tra feuilleton e divagazioni. Ma ecco anche il bodyshaming, la negazione contundente dell’avversario (quello lì? E chi lo conosce!), il finto ambientalismo (quello degli inceneritori e rigassificatori no e poi no: come se non fossero strutture ecologiche), i veti e i controveti della rissa auto-referenziale dei gruppi e dei gruppuscoli, il florilegio delle formule insignificanti: campo largo o mare aperto, fronte repubblicano e Cln (comitato di liberazione nazionale dalla destra), centrodestra o destracentro, progressismo vs sovranismo e viceversa (concetti a vanvera se sparati a raffica), mostrificazioni ad uso spettacolare (se vincono quelli lascio l’Italia e fioccano gli annunci di futuri esuli e partigiani), vittimismi a pioggia e si rivedono le madonne (in tivvù con Salvini) e i volontari dell’anti-fascismo (la compagnia di 100mila ragazzi che sta allestendo il Pd). C’è qualcosa in tutto questo che parla dell’Italia e agli italiani? 
No, ci sono parole forti (o debolissime), immagini inservibili se non agli agit-prop, tanta voglia di colpirsi ma non di capirsi e di voler far capire quello che non si sa. Perché sono i contenuti che mancano per ora in questa strana campagna elettorale fulminea ed estrema. C’è la necessità di massimizzare il tempo e di bucare il muro dell’indifferenza e della noia a colpi di acrobazie, pur in assenza di Maradona. 
Il paradosso è che non si fa che parlare di draghismo e di Metodo o di Agenda Draghi. Ma il riferimento all’ex premier dovrebbe significare l’importanza della competenza, il volersi mettere a studiare, il presentarsi preparati tecnicamente sulle varie questioni che interessano la vita dei cittadini e l’ambizione ad essere migliori. Invece, se il draghismo riempie le intenzioni retoriche, l’anti-draghismo ossia l’improvvisazione sloganistica e il combattimento a parolacce sta riempendo la realtà di una politica che ci si aspettava maturata in questi anni e invece non parrebbe. Sembra che i partiti abbiano sprecata l’occasione, mentre al governo ci pensava Draghi, di darsi una preparazione adeguata a tempi difficilissimi (visto che la pandemia e la guerra con le sue conseguenze economiche, energetiche, alimentari e geopolitiche hanno cambiato tutto) e di sforzarsi in un’opera di modernizzazione e di adeguamento delle proprie culture che il mondo nuovo, e un Paese come il nostro che in questo mondo vuole e può starci da protagonista, richiedono. 
Non è una bella sorpresa scoprire viceversa che, crollato Draghi, quelli di prima sono rimasti identici a prima. E che al momento - ma si spera sempre in un ravvedimento anche se i tempi stringono e sembra tardi per tutto - ciò che prevale di qua e di là è la lezione dei manuali di memotecnica. Quelli che dicono che la memoria dell’essere umano fissa più di ogni altra cosa le immagini forti e queste sono quelle che contengono le 3 S: sangue, sesso e schifo. Dunque concentrarsi su quanto fanno schifo gli avversari (e magari anche gli alleati e i vicini) è in questa fase la pulsione dominante. Purtroppo in una campagna lampo è quasi naturale che il destruens abbia facile gioco sul construens. E questa è una punizione in più inflitta agli elettori, che se restano a corto di promesse va bene ma se restano a secco di programmi ben ponderati e realizzabili va molto meno bene. 
Limitare le parole in campagna elettorale non si può.

Ma usare le parole giuste si deve. Sennò il silenzio degli elettori, ovvero l’astensionismo, sarà la reazione più ovvia e una sorta di auto-risarcimento degli italiani per essere stati tormentati dal rumoroso nulla e non aiutati - questo dovrebbe essere il compito di tutta la classe dirigente - a pensare che Italia serve e che Italia si può volere.

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