Mood parolaio, effetto pollaio. Non comincia bene questa campagna elettorale. Un po’ perché è a corto di idee, e per ora si punta sullo stanco riciclo dei vecchi programmi quando l’Italia è cambiata più in questi tre anni che negli ultimi dieci o quindici, e un po’ perché dovendo concentrare tutto - mai esistito un voto-lampo come questo e per di più tra estate e autunno - si deve spararla grossa, non c’è tempo per ragionare sulle parole, occorre impressionare i cittadini in villeggiatura e già abbondantemente annoiati dall’abituale politico e dal bla bla partitico.
Non c’è tempo, non c’è voglia e non c’è capacità di alzare il livello e dunque siamo da subito alla gara a chi la spara più forte, nella speranza - sbagliatissima - che gli italiani distratti li mobiliti così e nella convinzione - fallace - che fai più male al nemico insultandolo piuttosto che superandolo con le tue proposte e la tua credibilità, ammesso che ci siano. E allora ecco la caricature: Giggino ‘a cartelletta, il nano, la nera (ma non ci si stanca mai, dentro e fuori d’Italia, di usare contro la Meloni il ricatto di un passato che non le riguarda?), i neri (gli immigrati che ci starebbero invadendo), i traditori (quello ci ha tradito, quell’altro ci tradirà), i vendicatori (torno io e sbaraglio tutti, come se Dibba fosse il Conte di Montecristo), gli uomini forti e laboriosi contro i radical chic scansafatiche (“Io sudo e Letta no”, è il grido di battaglia di Salvini) e via così tra feuilleton e divagazioni. Ma ecco anche il bodyshaming, la negazione contundente dell’avversario (quello lì? E chi lo conosce!), il finto ambientalismo (quello degli inceneritori e rigassificatori no e poi no: come se non fossero strutture ecologiche), i veti e i controveti della rissa auto-referenziale dei gruppi e dei gruppuscoli, il florilegio delle formule insignificanti: campo largo o mare aperto, fronte repubblicano e Cln (comitato di liberazione nazionale dalla destra), centrodestra o destracentro, progressismo vs sovranismo e viceversa (concetti a vanvera se sparati a raffica), mostrificazioni ad uso spettacolare (se vincono quelli lascio l’Italia e fioccano gli annunci di futuri esuli e partigiani), vittimismi a pioggia e si rivedono le madonne (in tivvù con Salvini) e i volontari dell’anti-fascismo (la compagnia di 100mila ragazzi che sta allestendo il Pd). C’è qualcosa in tutto questo che parla dell’Italia e agli italiani?
No, ci sono parole forti (o debolissime), immagini inservibili se non agli agit-prop, tanta voglia di colpirsi ma non di capirsi e di voler far capire quello che non si sa. Perché sono i contenuti che mancano per ora in questa strana campagna elettorale fulminea ed estrema. C’è la necessità di massimizzare il tempo e di bucare il muro dell’indifferenza e della noia a colpi di acrobazie, pur in assenza di Maradona.
Il paradosso è che non si fa che parlare di draghismo e di Metodo o di Agenda Draghi. Ma il riferimento all’ex premier dovrebbe significare l’importanza della competenza, il volersi mettere a studiare, il presentarsi preparati tecnicamente sulle varie questioni che interessano la vita dei cittadini e l’ambizione ad essere migliori. Invece, se il draghismo riempie le intenzioni retoriche, l’anti-draghismo ossia l’improvvisazione sloganistica e il combattimento a parolacce sta riempendo la realtà di una politica che ci si aspettava maturata in questi anni e invece non parrebbe. Sembra che i partiti abbiano sprecata l’occasione, mentre al governo ci pensava Draghi, di darsi una preparazione adeguata a tempi difficilissimi (visto che la pandemia e la guerra con le sue conseguenze economiche, energetiche, alimentari e geopolitiche hanno cambiato tutto) e di sforzarsi in un’opera di modernizzazione e di adeguamento delle proprie culture che il mondo nuovo, e un Paese come il nostro che in questo mondo vuole e può starci da protagonista, richiedono.
Non è una bella sorpresa scoprire viceversa che, crollato Draghi, quelli di prima sono rimasti identici a prima. E che al momento - ma si spera sempre in un ravvedimento anche se i tempi stringono e sembra tardi per tutto - ciò che prevale di qua e di là è la lezione dei manuali di memotecnica. Quelli che dicono che la memoria dell’essere umano fissa più di ogni altra cosa le immagini forti e queste sono quelle che contengono le 3 S: sangue, sesso e schifo. Dunque concentrarsi su quanto fanno schifo gli avversari (e magari anche gli alleati e i vicini) è in questa fase la pulsione dominante. Purtroppo in una campagna lampo è quasi naturale che il destruens abbia facile gioco sul construens. E questa è una punizione in più inflitta agli elettori, che se restano a corto di promesse va bene ma se restano a secco di programmi ben ponderati e realizzabili va molto meno bene.
Limitare le parole in campagna elettorale non si può.
Mario Ajello
Campagna estiva/ Se le battute in libertà sostituiscono i programmi
di Mario Ajello
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Martedì 26 Luglio 2022, 00:07
Ma usare le parole giuste si deve. Sennò il silenzio degli elettori, ovvero l’astensionismo, sarà la reazione più ovvia e una sorta di auto-risarcimento degli italiani per essere stati tormentati dal rumoroso nulla e non aiutati - questo dovrebbe essere il compito di tutta la classe dirigente - a pensare che Italia serve e che Italia si può volere.
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