Giuseppe Vegas
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Mercati globali/La sfida europea per recuperare competitività

di Giuseppe Vegas
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Domenica 14 Gennaio 2024, 01:01 - Ultimo aggiornamento: 23:22

La scorsa settimana ha visto il realizzarsi di una singolare coincidenza: l’incontro a Milano di Mario Draghi con un gruppo di importanti imprenditori europei e lo sciopero degli agricoltori tedeschi. Da una parte il gruppo di punta dell’industria del vecchio continente e dall’altra i lavoratori di quello che una volta si chiamava settore primario. Si tratta in sostanza dei due estremi del mondo produttivo: l’industria e l’agricoltura. Questa volta però, al netto delle differenze nella forma, le due categorie di rappresentanti di interesse non si sono trovate l’una contrapposta all’altra, ma sostanzialmente d’accordo. Molti si domanderanno se questa straordinaria coincidenza sia il sintomo di un mondo che è cambiato, o, più semplicemente, se l’apologo di Menenio Agrippa sia ancora oggi valido dopo oltre 2000 anni.


Non si tratta in questo caso di rivendicazioni di una parte nei confronti dell’altra, quanto piuttosto della presa di coscienza di un problema che rischia di travolgere l’intera società. O meglio, il modo di vivere del Vecchio Continente nel suo complesso. La realtà di oggi è infatti quella di una Europa che sta attraversando il periodo più difficile della sua storia. Per il semplice fatto di essere stata la levatrice di una rivoluzione che adesso non è in grado di governare. Sia perché si è data un’agenda troppo serrata per poter essere ragionevolmente rispettata, sia perché non dispone di adeguate risorse economiche per governare i processi e i cambiamenti che si è autoimposta, sia infine perché non è stata in grado di coinvolgere in questi obiettivi il resto del mondo. La conseguenza è stata però che, anziché rappresentare un faro per il futuro del mondo, ci siamo trovati pressoché isolati a fare i conti con obiettivi definiti con una tempistica tanto rapida da divenire quasi brutale. E ci siamo dovuti confrontare con realtà territoriali nelle quali chi sarebbe dovuto essere danneggiato dalle nuove regole, ne è stato invece avvantaggiato. Con il risultato di aver creato una situazione in cui abbiamo favorito i nostri concorrenti, ai quali ci siamo legati mani e piedi. E il tutto è avvenuto con una velocità che nessuno di loro avrebbe mai immaginato. Senza adeguatamente ponderare la circostanza che il contemporaneo affacciarsi nell’agenda mondiale dei temi della transizione energetica e dell’innovazione tecnologica reca con sé la necessità di affrontare, prima, per risolvere, poi, il fondamentale problema di come continuare a garantire lo sviluppo della nostra società e, con esso, il benessere comune.

Va precisato in merito che non si può non essere favorevoli all’idea di dotarsi di un sistema produttivo che possa garantire nel tempo la sostenibilità ambientale delle produzioni ed anche il ripristino dai molti danni prodotti sino ad oggi. Risulta quindi assolutamente condivisibile il proposito di introdurre profonde innovazioni dei sistemi produttivi e dei prodotti stessi, al fine di garantire alle generazioni attuali e soprattutto a quelle future di tutto il pianeta una migliore qualità della vita.

Tuttavia, occorre anche rendersi conto che i più che ragionevoli obiettivi perseguiti potranno essere raggiunti solo se saranno adeguati anche i mezzi per raggiungerli. Tenendo conto che, poiché ciò che si intende fare è finalizzato a migliorare il benessere delle persone, occorre in primo luogo valutare le possibili conseguenze sulla loro vita. Soprattutto quando le novità sono destinate a prendere corpo in tempi più brevi di quanto gli esseri umani siano in grado di accettare. Insomma, ci troviamo ad affrontare problemi che assomigliano molto alla quadratura del cerchio.

La vecchia Europa assomiglia a chi vuole una “casa” nuova, ma si rifiuta di costruire mattoni, ha licenziato l’architetto che ha redatto il progetto e non ha il denaro per pagare i muratori. Allo stesso modo, abbiamo lasciato che le imprese dei concorrenti esteri conquistassero rapidamente posizioni di monopolio nella fornitura di elementi essenziali, anche sotto il profilo tecnologico, per l’attuazione delle nostre politiche ambientali. Condannando così molte industrie europee all’estinzione. Il tutto finora nell’inerzia di reazioni adeguate da parte dei poteri politici, statali e comunitari, dei danneggiati. Ma oggi, e non solo come conseguenza delle riunioni degli industriali o degli scioperi degli agricoltori, qualcosa sta cambiando. In vista dell’inizio della nuova legislatura europea, dopo le elezioni del prossimo giugno, la presidente Von Der Leyen ha affidato a Mario Draghi il compito di redigere un rapporto sulla competitività del sistema produttivo europeo.

Danneggiato, fra l’altro, dalla presenza di un mercato interno estremamente frammentato, in larga parte corporativo e scarsamente competitivo e da una regolamentazione elefantiaca, redatta con un approccio culturale sostanzialmente punitivo nei confronti della libera iniziativa, considerata come un pericolo per i diritti dei cittadini. Uno stato di cose che ha finito per paralizzare la capacità di risposta del sistema europeo nei confronti delle novità, capacità che occorre invece ripristinare rapidamente. Come ha fatto l’Inflation reduction act americano, un meccanismo di finanziamento diretto a favore delle imprese statunitensi, per aiutarle a compiere la transizione tecnologica, che fa ricorso ad uno strumento attualmente non disponibile tra gli arnesi di lavoro europei. Ma gli attrezzi si possono cambiare.

A partire dalla necessità di informare con chiarezza l’opinione pubblica del fatto che, per avere un mondo migliore, occorrerà pur mettere mano al portafoglio, magari rinunciando ad altre spese. Per poi adottare un approccio innovativo nel campo delle regole, che ponga fine alla creazione, come accade oggi, di diseconomie interne, a vantaggio della contemporanea fioritura di economie esterne per i nostri concorrenti. Il compito che ci attende oggi è tutt’altro che facile, ma è affrontabile. Basta averne la volontà.

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