Paolo Balduzzi
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Bce in attesa/ L’altalena dell’inflazione e le tasche degli italiani

di Paolo Balduzzi
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Lunedì 7 Febbraio 2022, 00:13

L’inflazione torna sulle prime pagine dei giornali. E la prima sensazione è che si tratti di una cattiva notizia. Non accadeva da parecchio tempo. Periodi più o meno lunghi, a seconda dell’età di ciascuno di noi. E già questo contribuisce a non rendere l’argomento particolarmente piacevole: ci fa sentire tutti un po’ più vecchi. Quanti anni sono passati, infatti, da quando l’inflazione era stata un problema da affrontare? Per le generazioni relativamente più giovani, non se ne sentiva parlare da circa 25 anni, dagli arbori cioè dell’Unione monetaria europea. Proprio le preoccupazioni sull’inflazione hanno determinato i contenuti dei Trattati europei di costituzione dell’Unione (Maastricht e Amsterdam) e lo Statuto della Banca centrale europea, in cui si stabilisce, fin dall’articolo 2, che l’obiettivo principale della stessa debba essere la “stabilità dei prezzi”, un principio poi quantificato con un livello dell’inflazione, nel medio periodo, del 2%. Come si noterà, un livello non elevato ma comunque decisamente lontano dallo “zero”; una bella differenza, per esempio, rispetto alle preoccupazioni della stessa Unione per i deficit di bilancio, quelli sì da molti paesi considerati, almeno fino al 2020, un male da estirpare. La verità è che un po’ di dinamica dei prezzi mantiene vivace l’attività economica; e molto peggio, invece, sarebbe il contrario. I più anziani, invece, andranno con la memoria addirittura agli anni ’70 del secolo scorso: alla crisi petrolifera e alle targhe alterne, per esempio.

Ma probabilmente anche, con un po’ di nostalgia, ai pantaloni corti, ai capelli lunghi e alla spensieratezza di un’età in cui quella parola, inflazione, non significava davvero molto. Esperienze lontane, a volte lontanissime, ma che possono aiutare a interpretare cosa sta succedendo in questi mesi e, soprattutto, cosa aspettarci nel prossimo futuro. Cosa comporta, dunque, l’inflazione sulle tasche degli italiani? Ovviamente, il primo pensiero va alla perdita del potere d’acquisto: i beni costano di più, gli stipendi, se non seguono la stessa dinamica, permettono di comprare meno beni. E non è detto che aumentare gli stipendi sia necessariamente la soluzione, anzi: un costo del lavoro maggiore costituisce un onere di produzione più elevato per le imprese, che quindi aumenteranno ulteriormente i prezzi, alimentando il fenomeno inflazionistico e rendendolo sempre più strutturale e duraturo. Non solo. Poiché l’inflazione è associata a una perdita di potere d’acquisto della moneta a causa della sua eccessiva quantità nell’economia, le banche centrali potrebbero reagire proprio limitando la moneta in circolazione. Ciò è possibile attraverso un rialzo dei tassi di interesse. Una mossa che renderebbe più costoso indebitarsi: per gli stati ma anche per i cittadini. Che agli stati costi di più indebitarsi potrebbe anche essere una buona notizia: in un periodo di grande indebitamento, avere un freno implicito che scoraggia nuovo indebitamento potrebbe aiutare a tenere sotto controllo le finanze pubbliche.


Tuttavia, si pecca forse di eccessivo ottimismo nei confronti di un legislatore che, al contrario, potrebbe continuare a indebitarsi, aumentando così la spesa per interessi. Per i cittadini, un costo del denaro più elevato significa che costerà di più comprare una casa oppure prendere a prestito dei capitali per far partire un’impresa. Per questa ragione è davvero interessante osservare il comportamento dei banchieri centrali. Negli Stati Uniti, dove l’inflazione è ormai già al 7% su base annua, la Fed ha annunciato un rialzo dei tassi d’interesse a partire da marzo; al di qua dell’Atlantico, la Gran Bretagna, con un tasso di inflazione al 6%, ha già cominciato a rialzare i tassi d’interesse da dicembre, mentre la Bce, giusto qualche giorno fa, ha confermato la sua volontà di attendere le previsioni più aggiornate della primavera prima di prendere decisioni sui tassi. Perché queste differenze? Da un lato, ciò potrebbe essere causato da letture e sensibilità diverse; dall’altro, tuttavia, bisogna anche riconoscere che l’inflazione è un fenomeno di natura locale, con le sue specificità da rispettare. Negli Stati Uniti, per esempio, si ritiene che l’economia vada così bene da poter resistere a una piccola stretta monetaria; in Europa, evidentemente, questa fiducia ancora non c’è. Non solo, probabilmente la Bce spera che il fenomeno sia ancora temporaneo e stagionale. 
Sarà la storia a dire se le banche centrali avranno affrontato bene o male questo periodo. E a noi, nei prossimi, anni, rimarrà, tra altri ricordi si spera più piacevoli, anche quello di un terzo decennio di secolo in cui, davvero, l’economia non sembrava trovare pace.

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