Ci sono due elementi del bilancio dello Stato che sono strettamente collegati tra di loro e che rischiano di innescare un cortocircuito decisivo nei prossimi mesi. Il primo è la riforma fiscale. Preparata da un lungo lavoro delle commissioni parlamentari competenti e più volte annunciata dallo stesso governo, al momento è ancora a uno stato embrionale e ipotesi e supposizioni sono molto di più rispetto ai risultati effettivamente raggiunti. Che, peraltro, sono ancora nulli: non esiste ancora la legge delega, approvata in bozza dal governo mesi fa ma ormai scomparsa chissà dove in Parlamento; non esiste un vero e proprio progetto di riforma generale, se il massimo che si è riusciti a proporre finora è un “semplice” taglio delle aliquote Irpef. Non esistono, a essere sinceri, nemmeno grandi risorse: al momento tutte le ipotesi ruotano intorno ai famosi 8 miliardi già inseriti nella disegno di legge di Bilancio. Per avere un’idea degli ordini di grandezza, basti ricordare che fino a pochi anni fa il bilancio conteneva una clausola di salvaguardia contro l’aumento di qualche punto delle aliquote Iva che valeva oltre 25 miliardi a regime. Una cifra comunque superiore a quella dei fantomatici 20 miliardi di cui parla qualcuno e che, in ogni caso, conterrebbero proventi non strutturali dalla lotta all’evasione e perfino una quota di copertura in deficit.
Non certo le fondamenta necessarie per una riforma fiscale strutturale. In ogni caso, cifre e tabelle hanno già riempito i giornali: ed è positivo che se ne parli. Basta essere chiari sul fatto che è ancora prematuro fare conti definitivi sui guadagni: l’Irpef ha una struttura complessa, il debito d’imposta non dipende solo dalle aliquote ma anche dalle cosiddette spese fiscali (deduzioni e detrazioni) cui uno specifico contribuente ha diritto. E molte di queste dovrebbero sparire, annullando per qualcuno la diminuzione dell’aliquota. Il caso più eclatante è, per esempio, quello delle detrazioni per carichi famigliari, assorbite sì da un assegno unico e universale per figli ma che universale lo è davvero solo sulla carta. Anzi, il passaggio all’assegno unico potrebbe diventare penalizzante per chi ha un immobile di proprietà e un reddito superiore ai 50.000 euro. Esattamente, per rendere l’idea di quanto sono complessi i calcoli da fare, quel livello di reddito che sembra avvantaggiato dalle prime (incomplete) stime sulla riforma dell’Irpef. Ma altre detrazioni sono nel mirino del fisco, a partire da quelle, peraltro potenzialmente utilissime, del bonus 110 per cento.
Ora, riforma delle imposte e dinamica della spesa pubblica possono incontrarsi virtuosamente oppure creare un sacco di problemi al bilancio del Paese.
Ovviamente, la speranza è che la riduzione della spesa si realizzi e che in questo modo si trovino le risorse strutturali per una vera e non marginale diminuzione delle imposte, sia sui cittadini che sulle aziende.
E, senza riduzione delle imposte, la crescita prevista per i prossimi anni sarà presto solo un lontano ricordo.