Pagamenti Pubblica amministrazione, la Corte europea condanna l'Italia sui maxiritardi

Pagamenti Pubblica amministrazione, la Corte europea condanna l'Italia sui maxiritardi
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Mercoledì 29 Gennaio 2020, 12:13
L'Italia continua a non essere in regola con i pagamenti della Pubblica amministrazione. Ieri la Corte di Giustizia ha stabilito che lo Stato italiano ha violato più volte la direttiva Ue contro i ritardi nei saldi verso i creditori. Secondo gli eurogiudici il governo non avrebbe controllato le pubbliche amministrazioni nel rispetto dei termini di pagamento verso i fornitori privati, che non devono essere superiori a 60 giorni. Va detto che il debito del nostro Paese nei confronti delle imprese private è nel frattempo calato a 53 miliardi.






E tuttavia, le dilazioni risultano essere in media di 4 mesi con casi estremi che arrivano oltre l'anno soprattutto nelle regioni del Sud. In Campania si sono registrati fino a 415 giorni di ritardo, in Sicilia 369 e in Calabria 354. Anche se il record assoluto di ritardi si è avuto in Piemonte dove ci sono stati casi di rinvii fino a 573 giorni. Le imprese più colpite sono le sanitarie e quelle che gestiscono appalti, che a causa degli innumerevoli ritardi spesso rischiano il fallimento.
IL NODO APERTO
La sentenza contro l'Italia nasce dalle denunce arrivate alla Commissione Ue da parte di operatori economici, furiosi per i maxiritardi nel saldo delle fatture. La prima a denunciare in sede europea la situazione è stata l'Ance. L'esecutivo Ue ha quindi promosso un ricorso per inadempimento contro l'Italia davanti alla Corte di Lussemburgo. Secondo la direttiva europea del 2011, che è entrata in vigore nel 2013, i pagamenti devono avvenire entro e non oltre due mesi. In sua difesa l'Italia ha sostenuto davanti alla Corte che la direttiva impone solo di prevedere i tempi per i pagamenti e in caso di sforamento il diritto dei creditori agli interessi di mora. Secondo lo Stato italiano, però, la direttiva non imporrebbe «l'effettiva osservanza in qualsiasi circostanza». I giudici hanno respinto l'argomentazione sancendo che la direttiva impone agli Stati membri il rispetto effettivo da parte delle Pa dei termini previsti. «È un problema che necessita di ulteriori interventi, in particolare si dovrebbe operare su due direttrici», osserva Gianpiero Oddone, ad di Officine Cst. «Per primo - spiega - si deve intervenire sull'efficienza dei processi di emissione e registrazione delle fatture: è fondamentale un rapido riconoscimento dei crediti, evitando fenomeni di ritardo. Un ulteriore esempio di questa tipologia di situazioni riguarda i crediti non riconciliati, perché l'importo della fattura emessa non è pienamente riconosciuto dalla Pa. Anticipando l'attività di riconciliazione con il fornitore, si può ridurre anche il ritardo nel pagamento».
Aggiunge infine Oddone: «Una seconda direttrice riguarda invece i casi in cui la pa non paga le fatture, perché presenta condizioni di squilibrio finanziario. In queste situazioni andrebbero anticipate le procedure di riequilibrio finanziario pluriennale e di dissesto finanziario». All'Italia dunque non resta che mettersi in regola: la Commissione, infatti, monitorerà la situazione e se non si dovesse normalizzare potrebbe rivolgersi nuovamente alla Corte per chiedere delle sanzioni.
(Fe. Us.)
 
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