«Patto di stabilità, servono meno vincoli»: il Parlamento europeo vuole una riforma soft

La plenaria approva a larga maggioranza il testo negoziale

«Patto di stabilità, servono meno vincoli»: l'Europarlamento vuole una riforma soft
di Gabriele Rosana
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Mercoledì 17 Gennaio 2024, 23:58 - Ultimo aggiornamento: 18 Gennaio, 10:06

Il Parlamento europeo vuole un Patto di stabilità e crescita più soft, con stimoli agli investimenti e periodi più lunghi per il rientro del debito. E dà così il via al rush finale per l’approvazione definitiva della riforma della disciplina Ue sui conti pubblici. La plenaria dell’Eurocamera riunita ieri a Strasburgo ha approvato a larga maggioranza (431 sì, 172 no e 4 astensioni) il testo negoziale per cominciare quella che si preannuncia come una trattativa-lampo con la Commissione Ue e con i governi riuniti nel Consiglio. Avvicinare le posizioni delle istituzioni Ue alla ricerca di una sintesi non sarà semplice, ma il tavolo aperto ieri punta a trovare la quadra entro un mese, in modo da avere le nuove norme in vigore prima delle elezioni europee di giugno.

IL SOSTEGNO
Nel primo test in Aula, la maggioranza di larghe intese tra popolari, socialisti e liberali ha retto, con solo una manciata di defezioni, e ha avuto il sostegno quasi integrale dei conservatori e riformisti dell’Ecr, mentre hanno detto no compatti, e determinati ad affossare il ritorno alle regole di bilancio, il gruppo dei Verdi (compresi i tedeschi, che pure siedono a Berlino nel governo di Olaf Scholz, il più intransigente sul nuovo Patto) e quello della Sinistra, e una parte dei sovranisti di Identità e democrazia (Id).

Nella pattuglia italiana, a dire di sì sono state tutte le forze politiche di maggioranza - Fratelli d’Italia, Forza Italia e la Lega, con il Carroccio che si è smarcato dai colleghi tedeschi e dai francesi di Id -, mentre le opposizioni hanno preso strade diverse, con il Partito democratico e Italia Viva a favore e il Movimento Cinque Stelle schierato insieme ai Verdi per la bocciatura. 

Di «passo per noi molto importante e positivo» ha parlato il commissario Ue all’Economia Paolo Gentiloni, usando toni motivazionali poco prima di entrare in una saletta di Strasburgo per il calcio d’inizio del trilogo inaugurale. «La Commissione farà ogni sforzo per raggiungere un accordo: sarà, però, necessario uno spirito di compromesso tra tutti per arrivare a un’intesa entro poche settimane, se vogliamo dare rapidamente un quadro di regole ai bilanci dei nostri Paesi che garantisca, in un momento molto difficile con grandi incertezze geopolitiche, stabilità, investimenti e crescita sostenibile. Non è il momento in cui l’Europa può permettersi di tornare alle vecchie regole o di avere un’incertezza normativa», ha aggiunto Gentiloni. 
A margine dell’Ecofin di martedì, era stato il vicepresidente esecutivo della Commissione Valdis Dombrovskis a offrire un primo sguardo sulla tempistica: a febbraio, una volta concluso l’iter legislativo, Bruxelles presenterà una “roadmap” contenente diverse ipotesi per risolvere il nodo dei tempi. Rinviare la piena applicazione del nuovo Patto dalle manovre 2025 a quelle dell’esercizio successivo, nel 2026, «non è l’opzione più desiderabile», ha messo in guardia Dombrovskis. 

I DOSSIER
La riforma del Patto si compone di tre dossier: il Parlamento Ue legifera alla pari con il Consiglio solo in uno di questi, cioè sul “braccio preventivo” relativo alle regole sulla sorveglianza dei bilanci nazionali, ma userà la logica del pacchetto per una trattativa complessiva sui vari profili della disciplina. Rispetto alla versione licenziata in videoconferenza dai ministri delle Finanze dei Ventisette appena poco prima di Natale, la relazione bipartisan dell’Europarlamento - per cui sono relatrici la socialista portoghese Margarida Marques e la popolare olandese Esther De Lange - introduce una serie di distinguo su cui è già iniziato il braccio di ferro. In particolare, punta a dare agli Stati membri 10 anni in più per risanare i conti (l’orizzonte temporale dei piani di rientro passerebbe, cioè, da 4-7 anni a 14-17) e boccia l’introduzione nuova di zecca di paletti sul disavanzo pubblico che è stata voluta dalla Germania e dai frugali per obbligare gli Stati a tendere a un livello-cuscinetto di deficit dell’1,5%, che è la metà del tetto del 3% del Pil stabilito nei Trattati. Presente, invece, anche qui la riduzione dell’1% annuo in media per i Paesi il cui rapporto debito/Pil supera il 90%. La proposta del Parlamento, oltre a una sorta di “golden rule” per escludere dal calcolo del deficit le spese strategiche, prevede pure, per gli Stati che investono in priorità Ue (come transizione verde e digitale) la possibilità di un periodo di tolleranza di cinque anni al massimo in caso di scostamento dai piani di spesa concordati con Bruxelles. 
 

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