Tassa sul reddito contro i soliti noti: gli 800 mila che già versano un quarto dell'Irpef

Ipotesi patrimoniale contro i soliti noti: gli 800 mila che già versano un quarto dell'Irpef
di Andrea Bassi
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Sabato 11 Aprile 2020, 11:52 - Ultimo aggiornamento: 11:56

ROMA Poco meno di due mesi fa, a febbraio, il governo ancora discettava di una proposta di riforma fiscale che fosse in grado di ridurre il prelievo fiscale soprattutto sulla classe media, quella che da sempre porta sulle sue spalle il fardello fiscale maggiore. La preoccupazione era soprattutto quella di disinnescare la proposta principe della Lega di Matteo Salvini la «flat tax», una tassa piatta al 15% per tutti i contribuenti.

Proposta che, sia ben chiaro, è tutt'altro che convincente ed equa per l'intero Paese. Il gruppo alla Camera del Partito Democratico, guidato da Graziano Delrio e dal capogruppo in commissione bilancio Fabio Melilli, ha invece impresso una vistosa inversione ad «U» a quello che sembrava un dibattito da tempo avviato sulla riduzione delle tasse. Complice la crisi economica creata dall'emergenza sanitaria e dalla chiusura delle attività economiche, i Dem sono caduti in un vecchio vizio: tassare maggiormente chi produce e guadagna di più.

Il prelievo sui redditi a partire da 80 mila euro (circa 3.500 euro netti al mese), non è in realtà una tassa «patrimoniale» come ha subito attaccato unito il centrodestra. È molto più semplicemente un aumento delle aliquote fiscali su quella classe di contribuenti che non può fuggire al Fisco e che già versa in proporzione la fetta maggiore di tasse. Il contributo di solidarietà, come lo hanno battezzato gli estensori, ma sarebbe meglio chiamarla tassa di solidarietà, colpirebbe 800.000 cittadini che, pur rappresentando solamente l'1,9% dei 41,2 milioni di contribuenti italiani, già oggi versano quasi un quarto (il 24,5% per l'esattezza) dell'Irpef netta totale, dichiarando il 13,6% del reddito complessivo.

GLI STUDI
Sono diversi gli studi che nel tempo hanno dimostrato questa affermazione. Il Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, guidato da Alberto Brambilla, ha di recente presentato un rapporto nel quale si spiega come il 45,19% degli italiani dichiara redditi più bassi di 35 mila euro versando appena il 2,62% del totale delle tasse. I contribuenti con redditi lordi sopra i 100 mila euro l'anno (circa 52.000 euro netti) sono soltanto l'1,13% del totale (467.442) ma pagano il 19,35% di tutta l'Irpef; tra 200 mila e 300 mila euro si trova lo 0,13% dei contribuenti che versano il 2,99% dell'Irpef mentre sopra i 300 mila euro c'è lo 0,093% dei contribuenti versanti che pagano però il 5,93% dell'Irpef. In un altro studio i commercialisti avevano dimostrato come oggi il 75% dei contribuenti italiani paghi un'aliquota effettiva già inferiore al 15%. Il sistema, insomma, è già iper-progressivo. Le tasse pesano in maniera sproporzionata su chi dichiara redditi medio-alti. Semmai il problema è di far pagare chi al Fisco sfugge.

C'è poi un secondo punto. La proposta del Partito democratico, secondo le stime degli stessi estensori, porterebbe un beneficio alle casse dello Stato di 1,3 miliardi di euro. Può sembrare una cifra grande, in realtà, data l'emergenza economica che il Paese sta affrontando, è irrisoria. Soprattutto se paragonata ai 400 miliardi di liquidità promessa dal governo alle imprese, o ai 25 miliardi del decreto di marzo e ai 40 miliardi di quello che sarà varato ad aprile. Il rischio che passi come semplicemente un intervento punitivo è alto.

IL PASSO FALSO
Quanto il passo sia stato falso, lo fa capire anche il fatto che a prendere le distanze non sia stata solo l'opposizione o Italia Viva di Matteo Renzi che compete con il Partito Democratico per occupare lo spazio politico al centro. Ma che a bocciare senza se e senza ma l'ipotesi della super-tassa sui redditi medio-alti sia stato anche il Movimento Cinque Stelle. In questo caso, molto probabilmente, non perché sia intimamente contrario, ma più perché ha vissuto l'uscita dei Dem con un intervento a gamba tesa su un terreno elettorale, quello del populismo, considerato dai grillini come riserva esclusiva di caccia.

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