Quando vide la luce, fu salutata come una riforma epocale: ed effettivamente la legge del 1995 passata alla storia con il nome dell'allora presidente del Consiglio Lamberto Dini aveva l'ambizione di rivedere in profondità il sistema previdenziale, rendendolo sostenibile nel lungo periodo.
Per la verità da allora in poi ci sono stati almeno altri due riassetti complessivi delle pensioni , senza contare svariati interventi minori. La legge Dini possiede però una caratteristica di fondo definita proprio per garantire nel tempo l'equilibrio dei conti: si tratta del legame tra spesa pensionistica e crescita dell'economia, misurata dalla variazione quinquennale del Pil. Questo è il tasso utilizzato per rivalutare ogni anno il montante dei contributi versati dai lavoratori. Montante che poi – nel sistema detto appunto contributivo – viene trasformato in rendita pensionistica attraverso specifici coefficienti legati all'indicatore demografico dell'aspettativa di vita. L'idea insomma è che lo Stato contenga le uscite previdenziali al livello che si può permettere.
IL CONTROLLO DELLA SPESA
A distanza di oltre un quarto di secolo dall'entrata in vigore di quella riforma, e di circa dieci anni dall'applicazione del meccanismo contributivo a tutti i lavoratori (scattata nel 2012 con la legge Fornero ) è naturale chiedersi come siano andate le cose . In sintesi: sono andate abbastanza bene per le casse pubbliche, perché il contributivoinsieme alle altre riforme messe a punto a partire dagli altri Novanta ha permesso di tenere la spesa tutto sommato sotto controllo, pur se a un livello relativamente alto. In realtà gli effetti del riassetto del 1995 saranno ancora più evidenti nei prossimi anni, a mano a mano che il calcolo contributivo sarà applicato sull'intera vita lavorativa degli italiani (mentre attualmente incide solo su una quota delle pensioni che iniziano a essere pagate). Il bilancio è meno positivo per lavoratori e lavoratrici, che sempre di più si vedono calcolare almeno un pezzo di assegno con un criterio che tiene conto dell'andamento complessivo dell'economia. La verità è che quando il sistema fu progettato, in un contesto decisamente diverso come quello degli anni Novanta, si davano per scontati tassi di crescita del Pil che poi nel corso del tempo non si sono materializzati: sia per i problemi strutturali del nostro sistema produttivo sia per l'impatto devastante di crisi non attese, come quella finanziaria avviata nel 2008 e la violenta recessione indotta dal Covid. Per capire nel dettaglio cosa è successo bisogna guardare un po' più da vicino l'indicatore prescelto al suo tempo. Misura la variazione del Pil nominale, grandezza che comprende quindi l'effetto della crescita vera e propria ma anche quello dell'aumento (o rilasciato) dei prezzi. Siccome viene applicato anno dopo anno al montante dei contributi previdenziali versati da lavoratori e imprese, era stato opportunamente deciso di usare una media quinquennale, per attuare l'effetto di singoli anni molto negativi ed evitare quindi che un periodo di recessione provochi un assottigliamento, anziché una rivalutazione, del “gruzzolo” pensionistico. E tuttavia qualcosa del genere è successo, tanto che a metà dello scorso decennio il governo è stato costretto ad intervenire con una norma di legge, stabilendo che il rendimento non poteva essere negativo ma al massimo nullo, pari a zero. Circostanza che si è verificata poi anche per la rivalutazione relativa al 2020, in concomitanza con la crisi pandemica. stabilendo che il rendimento non poteva essere negativo ma al massimo nullo, pari a zero. Circostanza che si è verificata poi anche per la rivalutazione relativa al 2020, in concomitanza con la crisi pandemica. stabilendo che il rendimento non poteva essere negativo ma al massimo nullo, pari a zero. Circostanza che si è verificata poi anche per la rivalutazione relativa al 2020, in concomitanza con la crisi pandemica.
L’ANDAMENTO
Il problema però non è solo quello dei picchi negativi annuali.
LE INCERTEZZE
Cosa si può aspettare chi ha davanti a sé ancora diversi anni di lavoro? Le prospettive di crescita di lungo periodo della nostra economia non sono particolarmente incoraggianti, anche a causa degli andamenti demografici. E a questo elemento sfavorevole si aggiunge l'incertezza che penalizza tuttora le carriere professionali, rendendole discontinue se non povere. Ecco perché il problema dell'adeguatezza dei futuri trattamenti previdenziali è destinato a restare all'ordine del giorno.