IL PROBLEMA
Per Di Maio resta quindi il problema di fondo: accontentare i tanti grillini no Ilva e ricominciare tutto daccapo su basi diverse (il fantomatico piano B, di cui non si conoscono i dettagli); chiudere progressivamente il siderurgico di Taranto; oppure contrattare il più possibile con gli attuali aggiudicatari della gara, la newco AmInvestco Italy capitanata dal colosso dell'acciaio Arcelor Mittal, per ottenere ancora più garanzie soprattutto sul piano occupazionale. Sempre che naturalmente gli indiani si mostrino ancora disponibili. Di certo se il ministro pensava di scaricare sull'Avvocatura dello Stato la decisione dell'annullamento della gara, sarà deluso.
Il parere in parte ricalca quello già fornito al vecchio inquilino del ministero di via Veneto, Carlo Calenda, il 31 maggio 2017, soprattutto nella parte relativa ai rilanci. In quell'occasione l'Avvocatura generale dello Stato chiarì a Calenda che i rilanci potevano essere previsti, però non dovevano riguardare solo la parte economica, ma anche gli altri aspetti della gara: ambientale, industriale e occupazionale. Calenda valutò che riaprire tutti gli aspetti (il piano ambientale ad esempio aveva già passato il vaglio di un apposito comitato di esperti) avrebbe comportato tempi troppo lunghi, e quindi decise di fermare lì il pallino, assegnando definitivamente la gara alla cordata di Arcelor Mittal.
L'OSSIGENO
Di Maio non ha molto tempo per prendere una decisione. Il contratto di cessione firmato dai commissari straordinari con l'aggiudicatario scadeva a luglio, ed è stato prorogato fino a metà settembre. Più o meno in quel momento finirà anche l'ossigeno in cassa Ilva e non ci saranno nemmeno più i soldi per pagare gli stipendi dei 14.000 dipendenti: un'ulteriore proroga è particolarmente problematica, perché il governo dovrebbe varare un nuovo decreto ad hoc con le risorse. Evenienza che Di Maio ha sempre escluso. Figuriamoci adesso che, dopo il disastro di Genova, le emergenze sono aumentate. Qualunque sia la decisione, Di Maio dovrà comunicarla anche ai sindacati, da giorni in attesa di una nuova convocazione al Mise. Se l'assegnazione dovesse essere considerata valida, bisognerà infatti ancora trovare un punto di accordo sull'occupazione: gli indiani già nell'ultima riunione dell'era Calenda avevano fatto capire di essere disponibili (ma non c'è nulla nero su bianco) ad assumere nella nuova Ilva 10.500 persone. Un passo avanti rispetto ai 10.000 offerti precedentemente, ma non ancora soddisfacente per i sindacati che chiedono zero esuberi, o comunque una clausola di salvaguardia che dica in modo chiaro che alla fine del piano (2023) chi non ha trovato ancora un posto (oppure non ha aderito agli incentivi all'esodo) può essere comunque riassorbito nella nuova Ilva.
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