L'economia: la ripresa c’è, ma scandali e antipolitica fanno da freno

di Marco Fortis
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Mercoledì 10 Giugno 2015, 23:08 - Ultimo aggiornamento: 11 Giugno, 00:10
L’economia italiana dà finalmente segni diffusi di ripresa, testimoniati da numerosi indicatori. Il calo della produzione industriale di aprile (-0,3% su marzo) stimato ieri dall'Istat non cambia il giudizio favorevole di fondo, poiché Confindustria ha fornito pressoché in contemporanea una previsione di crescita a maggio (+0,1% su aprile) della produzione stessa, che dunque mantiene una intonazione positiva. Sempre ieri l’Inps ha diffuso dati sulle nuove assunzioni nel primo quadrimestre 2015 molto incoraggianti: nel complesso più 188 mila rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, di cui 155 mila a tempo indeterminato grazie alle decontribuzioni triennali varate dall’attuale governo. In parallelo, l’Inps ha registrato un calo delle cessazioni pari a 80 mila unità, per cui il saldo netto dei rapporti di lavoro nei primi 4 mesi del 2015 ammonta a 286 mila unità. Tuttavia, dopo tante false partenze, è lecito analizzare in modo approfondito tutti i dati disponibili per testare la reale solidità della svolta. È ripresa vera o si tratta dell’ennesimo fuoco di paglia? La nostra risposta è che siamo di fronte ad una ripresa con tutti i crismi, anche se ancora da consolidare. E, d’altronde, mettendo in fila le numerose statistiche ed analisi uscite nelle ultime due settimane è difficile dubitarne. Ci sono, innanzitutto, i dati prodotti dall’Istat sul Pil del primo trimestre 2015, dettagliati per settori e componenti della domanda. Poi c’è la pioggia di indici del centro Markit.



Gli indici del centro Markit si riferiscono alle valutazioni dei manager delle imprese relative all’attività nel mese di maggio per il settore manifatturiero e per quello dei servizi, nonché per l’andamento delle vendite al dettaglio. Infine ci sono le importanti statistiche Istat sull’occupazione in aprile. Tutti gli indicatori e le analisi citate segnalano univocamente bel tempo per l’economia italiana. Ed è già una prima novità constatare un consenso così generalizzato. Il miglioramento è stato indubbiamente favorito dai molti fattori esterni propizi, ormai ben noti, che hanno rischiarato l’orizzonte del 2015: il Qe della Banca centrale europea, i tassi di interesse in calo, l’euro debole che stimola l’export, il petrolio basso. Sarebbe tuttavia riduttivo non riconoscere che in questo aggancio dell’Italia alla ripresa che si sta diffondendo un po’ in tutta l’Eurozona c’è anche un chiaro merito delle decisioni prese dal governo Renzi, con gli 80 euro, il taglio della componente lavoro dell’Irap, gli incentivi fiscali alle assunzioni a tempo indeterminato, il Jobs Act, il supporto alla nuova Legge Sabatini, il piano per l’export, per limitarci alle iniziative principali.



Nella percezione del cambiamento di clima e delle condizioni economiche da parte delle imprese e delle famiglie c’è, in altri termini, anche una buona dose di scelte azzeccate di politica economica. La battaglia politica in Italia è talmente astiosa da buttare sempre tutto in polemica e in confusione sicché per mesi non si è voluto vedere o riconoscere, né nei talk show né in tanti editoriali, ciò che le statistiche mostrano ormai con lampante evidenza. Ad esempio, si è detto a lungo che gli 80 euro, che peraltro sono prima di tutto una misura di equità sociale, non avrebbero prodotto alcun impatto significativo sui consumi. Non è stato affatto così: la decisione ha funzionato bene anche come azione di stimolo della domanda. E lo certificano i dati del Pil sui consumi delle famiglie, che sono ancora deboli, è vero, ma hanno cambiato verso proprio da quando sono stati introdotti (e in seguito resi stabili) gli 80 euro. Si è detto inoltre che le misure per il mercato del lavoro sarebbero state poco produttive se non addirittura un flop.



Mentre i dati Istat di aprile hanno definitivamente dimostrato il contrario, allineandosi con i segnali positivi che da qualche tempo già provenivano dall’Inps e dal ministero del Lavoro e certificando che le misure assunte dal governo non solo stabilizzano ma accrescono anche l’occupazione. Ma analizziamo con ordine i vari indicatori, cominciando dal Pil e dalle sue componenti. I dati del primo trimestre 2015 snocciolano un ampio ventaglio di segnali favorevoli. Innanzitutto la crescita congiunturale dello 0,3% del Pil sul quarto trimestre 2014, confermata dall'Istat, è la più forte dal primo trimestre 2011. Inoltre, la crescita tendenziale dello 0,1% sul primo trimestre 2014 (corretta al rialzo dopo la prima stima preliminare) è il primo segno di aumento dopo 13 trimestri consecutivi in calo.



Per quanto riguarda i consumi delle famiglie, pur in lieve rallentamento, essi sono tendenzialmente in crescita da 4 trimestri consecutivi sui corrispondenti trimestri dell’anno prima; non c’è la controprova ma, guarda caso, proprio da quando sono partiti gli 80 euro. A loro volta gli investimenti fissi lordi sono per la prima volta in crescita tendenziale (+0,4% sul primo trimestre 2014) dopo 14 trimestri consecutivi in calo; e sono aumentati anche congiunturalmente dell'1,5% sul quarto trimestre 2014, spinti soprattutto dai mezzi di trasporto. Il valore aggiunto dell'agricoltura è cresciuto congiunturalmente del 6% sul quarto trimestre 2014: un aumento senza precedenti negli ultimi 5 anni.



Anche l’aumento congiunturale dell'industria dello 0,6% è stato notevole; bisogna tornare al secondo trimestre 2011 per ritrovare una crescita simile. Infine, un fatto molto positivo è che anche le costruzioni sono cresciute congiunturalmente dello 0,5% dopo una caduta continua di oltre 4 anni interrotta solo brevemente da un ingannevole mini-rimbalzo dello 0,2% nel terzo trimestre 2013. Quanto a Markit, ci segnala che la ripresa del manifatturiero e dei servizi è continuata vigorosamente a maggio per produzione, occupazione e ordini. A maggio vi è stato soltanto un leggero rallentamento delle vendite al dettaglio ma l’opinione dei dettaglianti resta positiva su giugno. I segnali di Markit sono importanti perché normalmente “azzeccano” ciò che i dati ufficiali diranno con un mese di ritardo o più.



Dunque se il primo trimestre è andato bene, stanno maturando le condizioni affinché anche il secondo metta a segno una discreta crescita. I dati Istat sull’occupazione, a loro volta, hanno sbalordito anche i più scettici e gettato acqua sul fuoco delle innumerevoli polemiche strumentali riguardanti il Jobs Act (promosso invece a pieni voti dall’Ocse). Ad aprile gli occupati, in base ai dati destagionalizzati, sono cresciuti di 159mila unità rispetto a marzo e di 261mila rispetto all’aprile 2014. Considerando i dati grezzi, nell’aprile 2015 gli occupati sono risultati addirittura 399mila in più rispetto all’aprile 2014 ed è un fatto che le variazioni tendenziali dei dati grezzi degli occupati rispetto allo stesso mese dell’anno precedente hanno cominciato a riprendersi proprio con l’avvento del governo Renzi, consolidandosi e poi crescendo gradualmente con solo due unici brevi stop nell’aprile 2014 e nel marzo 2015 che non hanno modificato la tendenza positiva di fondo.



A questo punto le minacce alla ripresa che sta finalmente decollando, sia pure con fatica, vengono non tanto dall’economia, quanto dagli eterni teatrini, scontri frontali e veti incrociati della politica italiana, di cui abbiamo avuto un rinnovato assaggio durante la campagna elettorale e dopo le recenti elezioni regionali, con crescenti tensioni su temi sensibili come gli immigrati e gli scandali sulle cui soluzioni nell'interesse nazionale dovrebbe esservi convergenza costruttiva e non divergenza strumentale, col rischio di enormi danni per l'immagine del Paese.
Dovremmo forse ricordarci che il freno a mano eternamente tirato sulle riforme e il populismo strillato, minando entrambi la stabilità di governo e la nostra credibilità internazionale, ci hanno già più volte portato nel recente passato in condizione di stallo, col rischio di farci precipitare. Un errore che l’Italia non può più permettersi di ripetere.