Anna Albertinelli, a 22 anni pastora e studentessa: «La mia vita errante tra 800 pecore e università»

Anna Albertinelli
di Marina Cappa
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Sabato 2 Dicembre 2023, 15:39

Fra i diversi animali che in passato hanno calcato le scene, un gregge forse non si era mai visto. Doveva succedere stavolta: la regista Marta Cuscunà voleva portare le pecore fra il pubblico di Bucolica, rappresentazione che ha inaugurato il progetto del Piccolo Teatro Unlock the City!, da rappresentare nella periferia milanese di Porto di mare. Lo spettacolo c'è stato, ma le greggi di Anna Albertinelli hanno dato forfait, non si sono presentate in tempo. Forse ci si riproverà l'anno prossimo.
Intanto Anna si prepara a svernare con le sue pecore. Ha 22 anni, è nata in un paesello di venti abitanti nella Val di Scalve, provincia di Bergamo, e di mestiere fa la pastora errante.


Come ha cominciato?
«I miei si sono separati quando avevo 4 anni, in valle non era mai successo: un po' uno scandalo. Io e mia sorella più piccola per svagarci dopo l'asilo andavamo da mia cugina, che aveva una piccola azienda agricola, e io davo una mano, aiutavo nella mungitura, facevo ciucciare i capretti, sfamavo i cani. La cosa mi è piaciuta sempre di più, dopo la scuola correvo in stalla».
Ha smesso di studiare?
«No, studiare mi è sempre piaciuto, mi sono diplomata perito tecnico agrario e sono entrata nell'albo degli agrotecnici. Oggi sono iscritta a due università, Scienze biologiche e Giurisprudenza. Le seguo online perché con questo mestiere la presenza sarebbe impossibile».
Come si svolgono le sue giornate?
«Ci alziamo verso le 5,30, non mangiamo fino a sera, d'estate anche fino alle undici. È tostina. E finché c'è la giovane età va tutto bene, ma quando arrivi a 40 anni la salute ce la fa solo fino a un certo punto. D'inverno si sta fuori tutto il giorno, c'è il freddo, l'umidità. Vivo in roulotte: è confortevolissima, ha il riscaldamento, ma appena spengo viene la brina. Questo d'inverno, quando stiamo nel Parco agricolo di Milano Sud. Poi a metà maggio carichiamo il gregge sui camion e raggiungiamo l'alpeggio in Val di Scalve, sui 2000 metri».
Quanti siete?
«Con me c'è il mio ragazzo, Massimo. Poi quelli che chiamo papà e mamma, ossia mia cugina e suo marito. Lui fa il pastore da 50 anni e racconta che una volta la casa era l'asino, che trasportava le coperte e quando le pecore finivano di mangiare papà si faceva la tana per terra e dormiva lì. Con la roulotte è molto meglio: troviamo il pascolo, dentro un recinto, e fermiamo la carovana con la roulotte, tutti vicini. Non abbiamo una fissa dimora, seguiamo il gregge».
Come ha conosciuto Massimo?
«Sono stata fortunata, è sempre stato appassionato di animali e aveva già un piccolo gregge di circa 200 capi. Abbiamo unito pecore e forze, è stato semplice».
Quanto è grande il gregge?
«Circa 700-800 pecore della razza Gigante bergamasca. Poi abbiamo una cinquantina di capre, qualche mini mucca, asini, i cani».
Ha mai un giorno libero, un cinema...?
«Mai. L'ultimo film forse l'ho visto in prima superiore. Il teatro lo amo molto, ma non ho tempo. Ho sempre vissuto questa vita, il mio è un mestiere che fai se hai una grandissima passione per gli animali, richiede sacrifici. Però io sono contentissima così, non mi manca niente. Preferisco andare con le pecore che al centro commerciale. E ho imparato ad apprezzare tantissimo le piccole cose».
Per esempio?
«Questo è il periodo dei parti. Immagini 800 pecore che iniziano a partorire nello stesso periodo. C'è la mamma che non vuole l'agnellino, quella che ha poco latte, il piccolo che si perde. La sera sono distrutta, ma quando di notte faccio l'ultimo giro nel recinto e vedo mamma e agnellino lì insieme che dormono così bene... sarà una cavolata, ma mi dà tanta soddisfazione».
Agnellini e pecore li vendete?
«Gli agnelli ciucciano il latte della madre fino ai 6-7 mesi e vengono svezzati naturalmente. Poi, dobbiamo mantenere il canone di razza, con i soggetti più forti e più belli che in parte vengono tenuti per la rimonta interna e in parte acquistati da altri greggi».
E gli altri?
«Sono venduti come animali da macello, questa è una razza da carne. Dispiace tanto. Però quel poco che vivono qui stanno bene, all'aperto e non rinchiusi in una cuccetta due metri per uno. Purtroppo non possiamo allevarli tutti, anche per il benessere del gregge: quando sono troppi, gli animali non stanno bene».
Lei mangia carne?
«Soltanto la nostra: so che è buona, non usiamo antibiotici o mangimi ma solo pascolo. E so che l'animale ha avuto una vita degna. Macelliamo solo le pecore a fine carriera, a 6-7 anni. E vendiamo quella carne ai ristoranti. Puntiamo sulla qualità. Il nostro è un gregge etico: questo significa trattare gli animali non come una macchina economica, ma con rispetto. Sia in vita sia dopo».
 

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