Civitavecchia, medico contagia tutta la famiglia: «Sono rimasto vivo per aiutarli»

Il dottor Giuseppe Di Iorio, medico del Pronto soccorso di Civitavecchia
di Monica Martini
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Venerdì 24 Aprile 2020, 12:11
Un'intera famiglia di quattro persone contagiata dal Coronavirus, in quarantena ormai da oltre un mese. Lui noto medico dell'ospedale San Paolo di Civitavecchia e la moglie insegnante, colpiti da una forma molto grave di Covid 19 tanto da aver rischiato di finire in un reparto di terapia intensiva. Ammalati anche i due figli ventenni, maschio e femmina che, fortunatamente, hanno contratto il virus riportando, come spesso accade tra i più giovani, sintomi meno gravi e hanno sofferto per dolori muscolari e un forte raffreddore che limitava il gusto e l'olfatto. Ora sono tutti convalescenti e in via di definitiva guarigione, ma difficilmente dimenticheranno questa terribile esperienza.

Il contagio è sicuramente avvenuto a causa del focolaio scoppiato, a marzo, all'interno dell'ospedale dove presta servizio il dottor Giuseppe Di Iorio. Negativo ad un primo tampone, alcuni giorni dopo, accusando i primi sintomi, il medico ha scoperto di aver contratto il Covid 19. Di lì a poco, inevitabilmente, la stessa sorte ha interessato la moglie e i due figli costretti a restare confinati nella loro abitazione. Immune, fortunatamente, una terza figlia, una neo mamma di due gemellini, rimasta lontana, a pochi giorni dal parto, dai suoi genitori, proprio per il timore di essere stata contagiata. Una situazione difficile da fronteggiare con le fasi più acute della malattia superate solo grazie alla pluriennale esperienza di Di Iorio che è riuscito sempre a curare i suoi familiari, evitando conseguenze più gravi.

«Ma non è stato facile - racconta il medico che ora aspetta la fine del mese per essere sottoposto all'ultimo tampone che, se risulterà di nuovo negativo, gli permetterà di uscire dall'isolamento -. Ci sono stati momenti in cui ho pensato veramente di morire, ma mi sono sempre fatto forza perché sapevo che la mia presenza infondeva coraggio ai miei ragazzi e mia moglie che ha sofferto moltissimo. Avevo avuto la prima intuizione che fossimo al cospetto di un virus altamente contagioso e potenzialmente letale già tempo addietro quando in ospedale cominciammo a diagnosticare le prime gravi polmoniti. Ma non potevo immaginare quanto fosse subdola questa epidemia. Sia io che mia moglie abbiamo avuto febbre alta per almeno due settimane. Sapevo che i maggiori rischi di complicanze potevano arrivare da possibili embolie polmonari e pertanto abbiamo iniziato una terapia con anticoagulanti. Questa forse è stata la nostra salvezza. Il primo a guarire è stato mio figlio che ha cominciato solo da pochi giorni a uscire di casa e a occuparsi di tutte le incombenze, compresa la spesa. Sta molto meglio anche mia figlia che fortunatamente ha avuto una sintomatologia più sfumata. Abbiamo sofferto molto e non solo fisicamente. Abbiamo avuto paura per la nostra primogenita e come a tutti i nonni ci mancavano i nostri nipotini. C'è stato anche un giorno in cui ho pensato che forse era meglio morire in casa che da solo, in un letto di ospedale, come accade a tutti i malati di Covid. I tempi per una ripresa fisica saranno molto lunghi. La malattia è talmente invalidante che ti lascia una grande debolezza e spossatezza che credo duri almeno un paio di mesi. L'importante è essere usciti da questo incubo anche se ora mi preoccupano le conseguenze future, anche sul piano economico e sociale di questa pandemia».
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