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di Enzo Vitale

Juno, i gioielli italiani svelano i segreti di Giove. Missione Nasa su Bennu: pezzo d'asteroide torna sulla Terra Video

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Domenica 4 Settembre 2016, 22:32 - Ultimo aggiornamento: 5 Settembre, 17:48


Due gioielli made in Italy protagonisti della missione Juno della Nasa sul pianeta Giove. A bordo della sonda vi è un concentrato della migliore tecnologia italiana. Il cuore della sonda si chiama Jiram (Jovian InfraRed Auroral Mapper), uno spettrometro ad immagine infrarosso che ha lo scopo di analizzare osservare da vicino Giove per capirne formazione, evoluzione e struttura. È stato proprio Jiram a catturare le spettacolari aurore polari del pianeta, e sarà sempre lui ad analizzarne gli strati superiori dell’atmosfera. L’altro italico gioiello si chiama KaT (Ka-Band Translator), e ha lo scopo di determinare la struttura interna del pianeta attraverso la misura del suo campo di gravità.
Le apparecchiature sono state sviluppate grazie all’Asi (Agenzia spaziale italiana) e realizzate, rispettivamente, da Leonardo-Finmeccanica nello stabilimento di Campi Bisenzio in Toscana (con il supporto e la responsabilità scientifica dell’Istituto di Astrofisica e Planetologia Spaziali (Iaps) dell’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf)), e da Thales Alenia Space Italia, joint venture tra Leonardo e l'azienda francese Thales, con il supporto del team scientifico della Università di Roma La Sapienza.


(Su Juno anche Tecnologia italiana: Jiram di Leonardo FinMeccanica e KaT di Thales Alenia Space Italia)



(Un particolare e la collocazione di Jiram)


LA MISSIONE
Il pianeta proibito, o meglio, sconosciuto. Agli “occhi” delle “telecamere” di Juno, la sonda della Nasa che da poco ha raggiunto il gigante del Sistema solare, Giove è apparso sotto una nuova luce rivelando i suoi diversi e inconsueti colori: verde smeraldo, rosso e blu.
Il re dei pianeti, pur essendo il più grande e massiccio di tutti, non si era mai completamente svelato.
Alle prime immagini arrivate alla base, Scott Bolton, capo della missione, ha avuto un sussulto. Tra sconcerto e meraviglia è stato lapidario: «Non assomiglia ad alcun’altra cosa mai vista o immaginata prima».

I PASSAGGI
Dopo aver doppiato con successo il primo dei 36 passaggi polari orbitali, la sonda della Nasa ha rivelato i due poli del gigante gassoso riuscendo a rispettare il ruolino di marcia: è sceso fino a 4.200 chilometri dalle nubi del pianeta ad una velocità di oltre 200 mila chilometri orari. Un’altezza, comunque, che non raggiungerà mai più nel corso dell’intera missione. «Stiamo ricevendo alcuni primi dati interessanti -ha commentato ancora Bolton-, ma ci vorranno giorni per ricevere tutti i dati scientifici collezionati durante il flyby». Pur non trattandosi di un colloquio tra sordi, le comunicazioni tra la sonda americana e la Terra sono abbastanza diluite: 48 i minuti che occorrono per superare i quasi 900 milioni di chilometri che separano in questo momento Giove dal nostro pianeta.


(Una rappresentazione artistica di Juno vicino al re dei pianeti)

I SEGRETI
Per carpire i segreti di Giove bisognerà attendere ancora, del resto la missione vera e propria è iniziata da poco. La fase operativa comincerà solo dopo il 19 ottobre, quando è prevista la manovra di riduzione del periodo orbitale. Attraverso la comprensione delle caratteristiche di Giove, gli scienziati sperano di comprendere anche quali siano i fenomeni che caratterizzano i giganti gassosi dei sistemi extrasolari. Per ora dobbiamo accontentarci delle prime indiscrezioni e a fornirle è stato proprio uno degli strumenti tricolori. «Jiram ha penetrato la pelle di Giove -ha spiegato Alberto Adriani dell’Inaf-. Queste prime immagini infrarosse dei due poli hanno rivelato punti caldi e punti freddi mai visti prima. Nonostante sapessimo già che le prime immagini infrarosse del polo sud di Giove avrebbero potuto rivelare le aurore australi del pianeta, è stato sorprendente aver potuto vederle per la prima volta. Nessun altro strumento, né dalla Terra né dallo spazio, era mai stato in grado, infatti, di osservarle».



IL CORPO CELESTE
Dal gigante a uno dei “puffi” del Sistema solare, un asteroide su cui si concentra l’attenzione dell’intera umanità. Tra pochi giorni, infatti, dalla rampa di lancio di Cape Canaveral partirà la missione Osiris Rex, una sonda diretta verso Bennu, un piccolo corpo celeste definito dalla Nasa «potenzialmente tra i più pericolosi per il nostro pianeta». Nel 2182, secondo gli ultimi calcoli matematici, l’oggetto celeste 1999RQ36 (così viene definito dagli astronomi Bennu) potrebbe caderci rovinosamente addosso. L’arrivo sulla crosta dell’asteroide è previsto nel 2020 con un tempo di permanenza sulla superficie di almeno due anni. I campioni di roccia e polvere prelevati saranno poi riportati sulla Terra nel 2023, al termine di una singolare operazione robotica.


(Un'immagine dell'asteroide Bennu della Nasa paragonato a Chelyabinsk, l'oggetto caduto nella mattina del 15 febbraio 2013, nella regione a sud degli Urali)

MANCATO IMPATTO
Alcuni giorni fa un piccolo asteroide, dal nome in codice 2016Q2A, è passato a soli 80 mila chilometri, il 20 per cento della distanza Terra-Luna, “sfiorando” letteralmente il nostro pianeta. Si è trattato di un oggetto di alcune decine di metri ma, seppur piccolo, muovendosi a velocità di alcuni chilometri al secondo, in caso di impatto, avrebbe potuto provocare un impatto devastante sulla superficie terrestre. E allora si capisce perfettamente perchè la Nasa vuole studiare e riportare indietro un piccolo pezzo di Bennu.





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