Rigopiano, chiesti 12 anni per l'ex prefetto di Pescara. Il Pm: «La tragedia è frutto di malgoverno e clientelismo»

I 29 volti delle vittime, proiettati sui monitor, hanno aperto la lunga requisitoria del pm Anna Benigni

Rigopiano, il Pm: «Tutti colpevoli». Oggi le richieste di condanna
di Stefano Buda
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Giovedì 24 Novembre 2022, 08:03 - Ultimo aggiornamento: 15:04

Dodici anni per il prefetto Francesco Provolo, 11 anni e 4 mesi per il sindaco di Farindola, Ilario Lacchetta. Sono le principali richieste di condanna presentate dai Pm di Pescara per la tragedia di Rigopiano. Seguono, per l'ex presidente della Provincia Antonio Di Marco a 6 anni. Condanne a 11 anni e 4 mesi anche per il tecnico comunale Enrico Colangeli, 10 anni per i dirigenti della Provincia Paolo D'Incecco, e Mauro Di Blasio, 9 anni per i dirigenti della Prefettura Ida De Cesaris e 8 anni per Leonardo Bianco.

Ancora 7,8 anni per Bruno Di Tommaso, 9 anni Ida De Cesaris, 8 anni Leonardo Bianco, 6 anni all'ex sindaco Giancaterino.

Successivamente altre richieste minori per un totale di 25 imputati. Chiesti nel complesso oltre 150 anni.

I volti delle vittime aprono la requisitoria 

I 29 volti delle vittime, proiettati sui monitor, hanno aperto la lunga requisitoria del pm Anna Benigni. È iniziata così a Pescara, a distanza di quasi sei anni dalla tragedia, la discussione del processo con rito abbreviato sul disastro dell'Hotel Rigopiano. «Le vicende umane che trattiamo hanno avuto effetti devastanti sono state le prime parole di Benigni e tutto questo dolore è stato il motore dell'impegno del nostro ufficio».

Benigni è andata avanti per quasi cinque ore, con una breve pausa all'ora di pranzo, mentre nel tardo pomeriggio ha iniziato il suo intervento l'altro pm, Andrea Papalia, che terminerà di argomentare questa mattina. Sempre oggi parlerà il procuratore capo Giuseppe Bellelli e a fine giornata, se non ci saranno intoppi, saranno formulate le richieste di condanna.

Il pm: «La tragedia è frutto di malgoverno e clientelismo»

«Il caso Rigopiano è stato caratterizzato da gravi responsabilità ed omissioni ha detto Benigni da parte di una classe dirigente impegnata a soddisfare appetiti imprenditoriali e attività clientelari, e protagonista di un malgoverno che ha posposto la sicurezza dei cittadini agli interessi economici». In aula anche il procuratore aggiunto Annarita Mantini e i sostituti Andrea Di Giovanni e Rosangela Di Stefano, a sottolineare la compattezza della Procura. La requisitoria di Benigni è apparsa molto incisiva ed ha emozionato i tanti familiari delle vittime, che anche ieri, hanno gremito il tribunale. «Sono emerse responsabilità molteplici, principalmente addebitabili a quegli enti deputati a perseguire l'interesse collettivo ha sottolineato il pm Comune, Provincia, Regione e Prefettura hanno dato vita a una lunga concatenazione di omissioni e se anche soltanto uno di questi enti si fosse attivato, adempiendo ai propri doveri, si sarebbe evitato il disastro».

 

Benigni si è soffermata soprattutto sulle responsabilità di Comune e Provincia, affermando che «i principali esponenti di questi due enti, all'epoca del disastro, erano pienamente consapevoli del rischio isolamento del resort, già avvenuto nel 2015, del fatto che la strada provinciale fosse l'unica arteria di accesso, del fatto che il sito fosse a rischio valanghivo e dell'allerta valanghe emessa dal bollettino Meteomont». In particolare «il sindaco di Farindola, Ilario Lacchetta, si preoccupò dell'incolumità dei residenti ha rilevato Benigni - disponendo la chiusura delle scuole e invitando tutti a non uscire di casa, ma non si curò dell'Hotel Rigopiano, come se il resort rientrasse in un cosmo a parte». Il pm ha aggiunto che «in Provincia sapevano che soltanto una turbina avrebbe potuto liberare la strada, tuttavia i mezzi erano stati inviati altrove e a un certo punto si cercò di reperire una turbina. A Rigopiano però non venne eseguito alcun intervento e solo dopo il crollo ci si rivolse all'Anas». Quel che si è scoperto in seguito lascia interdetti. «Si è venuto a sapere ha rimarcato Benigni che l'Anas aveva a disposizione 9 turbine ed era pronta a concederle».

In chiusura Benigni ha affrontato il tema della prevedibilità della valanga, alla luce dell'impossibilità di escludere come sancito dai periti incaricati dal giudice che il sisma abbia esercitato un'incidenza. «In realtà, come evidenziato dalla Suprema corte, la genesi di una valanga, in un territorio a rischio valanghivo, può essere multifattoriale, ma certamente, se non ci fosse stato un grande innevamento, non si sarebbe verificata la valanga ha evidenziato il pm inoltre se in un territorio sismico, a rischio valanghivo, avviene una valanga, è l'evento che deve ricadere nella sfera della prevedibilità e non la causa». Per poi aggiungere che «lo sciame sismico avrebbe dovuto esortate tutti ad alzare l'asticella, imponendo una cautela in più e non certo ad adagiarsi lasciando la strada completamente bloccata».

Anche il pm Papalia ha usato parole severe. «A Rigopiano ha detto si è assistito al fallimento del sistema di Protezione civile». Papalia ha ricostruito, nel dettaglio, il funzionamento di tale sistema, «organizzato con una struttura multilivello, che obbliga le autorità deputate a tenere determinati comportamenti ed è in questo ha aggiunto il pm che emergono le responsabilità dei tecnici della Regione per le omissioni in riferimento all'adozione delle strumento di pianificazione per la prevenzione e previsione del rischio valanghivo». Il riferimento è alla mancata realizzazione della Carta valanghe. «L'addebito ricade sull'organo tecnico della Regione e non su quello politico per via del principio di separazione delle competenze ha chiarito Papalia ma responsabilità politiche, giuridiche ed etiche coinvolgono tutta la linea politica, amministrativa e dirigenziale che si è succeduta dal 1992, anno in cui venne emessa la legge 82 che individuava come strumento di pianificazione la Carta Valanghe».

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